Da I-fix-It ai Restart Parties…cronache di ordinaria manutenzione

L’atto riparatorio è stato il primo passo verso la costruzione di una coscienza manutentiva. Ma poi venne la consapevolezza che fare manutenzione richiedesse una strategia in qualche modo collegata alla fabbricazione

  • Ottobre 10, 2019
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    Da I-fix-It ai Restart Parties…cronache di ordinaria manutenzione

Istituita nel 2017, il prossimo 19 ottobre cadrà la terza edizione della Giornata Internazionale della Riparazione. L’evento, a cadenza annuale, si svolge il terzo sabato di ottobre. Nel 2018 la giornata fu incentrata sul diritto alla riparazione, ossia il diritto ad accedere a informazioni e risorse necessarie per la riparazione in modo che i prodotti siano durevoli, efficienti e riparabili.

Nel mondo odierno in una prospettiva di uso limitato delle risorse non rinnovabili, di un sentimento green sempre più diffuso, del fenomeno Fridays for future che ha portato in piazza oltre un milione di ragazzi, osserviamo che il ruolo sociale della manutenzione si afferma con sempre maggior vigore. Greta Thunberg dalla platea dell’ONU ha tuonato “come osate?” (… rubare il nostro futuro). Un movimento composto in gran parte da giovani e che sembra destinato a crescere.

La popolazione com’è naturale si preoccupa per gli effetti che prima o poi è costretta a subire. Dall’inquinamento, prima causa degli stravolgimenti climatici, alla marea di rifiuti, dall’innalzamento dei mari allo scioglimento dei ghiacciai, sono argomenti che ogni giorno, da qualche tempo, troviamo sui giornali come segno dell’attenzione dei cittadini. Raramente si parla di manutenzione, eppure sulla longevità dei beni, il riciclo e il riuso, l’ammodernamento tecnologico (upcycling), eccetera, la manutenzione ha un potere immenso.

Come ha sostenuto Donella Meadows “La manutenzione è una speranza per il futuro del mondo”, che è anche il titolo del mio ultimo libro.

Ecco perché è importante celebrare la Giornata Internazionale della Riparazione.

Cosa può fare la manutenzione per noi? Per capirlo è necessario osservare Madre Natura.

In un sistema chiuso “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, la legge di Lavoisier che la natura ha saputo così ben interpretare integrando i cicli degli esseri viventi in modo che nulla vada perduto. I rifiuti di una specie sono cibo per un’altra specie.

L’uomo purtroppo con i suoi cicli urbani, industriali, sociali, non è ancora riuscito ad ottenere tale integrazione ed il risultato da un lato è l’accumulo di oggetti inservibili e difficili da smaltire, dall’altro un consumo oltre misura di risorse non rinnovabili.

L’Italia, come ho ricordato più volte in questa rubrica, mentre è ai primi posti in Europa e nel mondo per il trattamento dei rifiuti da parte delle imprese (Italia c.a. 80%, Germania c.a. 50%, contro una media europea del 40%) è molto indietro nella gestione dei rifiuti solidi urbani, dove il tasso di riciclo è inferiore al 50%.

Come si traducono nel mondo delle fabbriche queste tensioni sociali? Dal cambiamento climatico figlio dell’inquinamento all’impronta ecologica (quante terre stiamo consumando), e così altri argomenti che potremmo per comodità sintetizzare in obiettivi green, quali conseguenze comportano nelle imprese?

L’uomo è la causa del problema, l’uomo con gli obiettivi green la può risolvere. O almeno così chiedono i giovani scesi in piazza a manifestare contro la politica rea di non fare abbastanza per raggiungere gli obiettivi green. Quindi che succederà alle industrie, alle fabbriche, ai processi, all’impiego delle risorse?

Il perseguimento di obiettivi green porterà nelle fabbriche un grandioso piano di ristrutturazione dei macchinari e degli impianti, in discussione sono la longevità, la resistenza dei materiali, la capacità di utilizzare materie prime seconde, e molto altro ancora.

Non è pensabile che le aziende trasformino i macchinari obsoleti in rifiuti, anche perché sarebbe una azione poco green, quindi vedo poche alternative ad un generalizzato ammodernamento che finalizzi le esigenze green.

Già questo sarebbe un buon motivo per non perdere di vista i nostri ultras della manutenzione, da I fix it, ai più recenti Restart Parties.

Si, perché loro sono anni che sperimentano diversi modelli o politiche di sviluppo: i più noti sono Riparo, Riuso, Riciclo, e più recentemente, Riparo, Rigenero, Riciclo o ancora, apertamente contro il modello “usa e getta” che produce montagne di rifiuti, Riciclo, Recupero, Risparmio, Riuso, Riduzione.

Le officine sociali che hanno organizzato Repair Cafè o Restart Parties, recuperano molti oggetti che nelle città sono abbandonati e li riparano o gli restituiscono nuova vita accoppiandoli alle più recenti tecnologie. Una versione moderna dei Laboratori di Quartiere immaginati negli anni ’80 da Renzo Piano e da Gianfranco Dioguardi, anche se in quel caso l’obiettivo era la manutenzione della città.

Chi vi lavora sono esperti di tecnologia, professionisti e dilettanti, che hanno imparato a riparare i guasti smontando pazientemente molti dispositivi. Altri hanno una esperienza professionale come riparatori.

Ma lo scopo non è commerciale, almeno a livello dei cafè o dei party, lo scopo è la condivisione delle competenze e la riparazione partecipata.

Lo scopo è incontrare i cittadini e educarli alla manutenzione riparando, aggiornando e riciclando prodotti che hanno raggiunto l’obsolescenza tecnologica o che sono in qualche modo malfunzionanti.

I locali che occupano sono offerti gratuitamente da enti o da istituzioni pubbliche. Non ci sono importanti costi vivi è una fucina di creatività e conoscenza, un modello parallelo ai Fab Lab, che sono concentrati, invece, sulle tecnologie più avanzate: robotica, elettronica e informatica. Naturalmente ci può uscire anche un business.

In Svezia (sic!) esiste un centro commerciale che vende solo oggetti riciclati, ma ben diverso dai nostri mercatini dell’usato. Nel centro si trattano a tutti gli effetti prodotti nuovi esposti e venduti da negozi, che sono stati ottenuti riciclando, aggiornando, rigenerando prodotti usati.

Il risultato è che prodotti nuovi sono ottenuti non con processi di fabbricazione ma con processi di manutenzione operati a partire da oggetti usati.

Le persone che animano questi eventi non sono moderni hippy in cerca di una società dalla decrescita felice. Sono persone lungimiranti che nell’imitazione dei cicli della natura vedono una possibile soluzione ai problemi che ci attanagliano.

Noi professionisti della manutenzione abbiamo molto da imparare. Le tecnologie, i metodi, i trucchi messi a punto da questo movimento di riparazione possono rivelarsi molto utili nel gestire la transizione verso l’industria 4.0, e nei conseguenti progetti di ristrutturazione dei sistemi produttivi.

Pensiamo ad esempio alla tematica della longevità delle macchine e dei sistemi. Non è più possibile smantellare gli impianti e inviarli a consociate del terzo mondo sostituendoli con impianti nuovi di zecca e tecnologicamente più avanzati. Come è accaduto molte volte in passato.

L’obsolescenza dei macchinari può essere superata da interventi periodici di ammodernamento, resi possibili da una accurata progettazione mirata a realizzare questo obiettivo.

Avere un buon servizio di manutenzione che sia in grado di realizzare o seguire questi aggiornamenti impiantistici sarà sempre più un fattore di competitività per le aziende.

Maurizio Cattaneo, Amministratore di Global Service & Maintenance