A cura di Fabio Calzavara, Responsabile Sezione Manutenzione & Sicurezza, A.I.MAN.
Abbiamo parlato delle scale in qualche numero precedente: avevamo trattato l’argomento perché è uno strumento di lavoro, che seppure passi inosservato, è patrimonio di ogni cantiere di manutenzione.
Chi infatti non si è mai recato sul posto per una manutenzione senza portarsi appresso questo miracoloso strumento? Spesso viene lasciato a bordo del furgone, spesso viene depositato ai margini del perimetro dei lavori, ma immancabilmente arriva il momento in cui ci si avvale di esso, lo si apre, ci si sale sopra e non si pensa che una banale caduta da qualche gradino può comportare effetti letali.
Quanto più l’azione che si vuole ottenere è semplice (come una pulizia in questo caso), tanto maggiore è la probabilità che questo accada in quanto abbassiamo la nostra soglia di attenzione.
Questo mese proponiamo una storia di infortunio scaturita da una attività di manutenzione: in particolare la pulizia di un serbatoio effettuata con utilizzo di una scala, con caduta da una altezza di appena 60 cm. Poco più di mezzo metro e una manciata di disattenzioni che hanno cambiato per sempre la vita del lavoratore. E non dimentichiamo che dietro ogni grave infortunio, oltre all’infortunato (se sopravvive), viene alterata la vita di familiari, amici, colleghi ed altre persone ad esso legate.
La scala è spesso costituita da più elementi che devono essere connessi adeguatamente, anche se basterebbe un solo pezzo. Il costruttore evidentemente ha preso le opportune precauzioni tecniche affinchè vi sia stabilità dell’attrezzatura e sono sempre presenti nel manuale di uso a manutenzione che obbligatoriamente deve essere consegnato o unito alla scala. Talvolta è anche un semplice foglio ma quanto basta per salvare l’incolumità fisica. Inoltre, laddove non vi siano le condizioni tecniche affinchè la scala da sola non abbia adeguata stabilità, si deve intervenire con adeguata organizzazione, mediante un secondo lavoratore che “vincoli” adeguatamente la scala.
Nell’infortunio allegato, l’esito non è stato mortale, tuttavia provate a immedesimarvi nella vita di un padre di famiglia che debba fermarsi obbligatoriamente per circa 300 giorni di convalescenza e vivere al termine con un importante grado di invalidità: non potere più giocare con i propri figli, accarezzare un prato verde, correre all’aria aperta liberamente... tutto questo per una disattenzione o per la “fretta”. Attenzione, ho scritto “fretta” e non “velocità”: la prima toglie lucidità mentale e occulta la visione di determinati pericoli, mentre la seconda è una modalità calcolata e consapevole che fa mantenere una certa consapevolezza della situazione.
Lo schema di analisi che propongo è tratto dalla campagna informativa “IMPARIAMO DAGLI ERRORI” gestita da ATS “Brianza”: nello sviluppo vengono trattati sia i fattori di pericolo presenti (che non erano stati valutati dall’infortunato) sia le azioni efficaci che avrebbero consentito al lavoratore di mantenere la sua integrità fisica.
Un manutentore, sottoposto a pressione costante dalle unità produttive per il riavvio degli impianti, deve costantemente ricordarsene.
Poter tornare a casa, prendere in braccio i propri figli e giocarci assieme è la giusta ricompensa di una dura giornata di lavoro. Cerchiamo di ottenerla. Sempre.
Il fascicolo è disponibile al seguente LINK