Ho sempre lavorato nell’Asset Management, collaborando prima con ENI e oggi con SARLUX, in realtà industriali che, come molte altre realtà italiane, hanno diversi decenni di vita produttiva alle spalle.
Quando mi è stato proposto di scrivere un’editoriale nel mese dell’Asset Integrity è quindi nata con naturalezza una riflessione sull’evoluzione che questo ambito gestionale sta avendo negli anni anche grazie ai nuovi stimoli offerti dalle nuove normative e dal 4.0.
All’interno di realtà capital intensive a rischio di incidente rilevante, la cultura dell’Asset Integrity è sempre stata presente, in maniera più o meno radicata, veicolata soprattutto da aspetti di compliance normativa; il primo messaggio che ci viene trasmesso è “Safety First”. Negli ultimi anni questo ambito si è arricchito con il D.lgs. 105/2015 che introduce l’obbligo di adottare, per il SGS-PIR, piani di monitoraggio e controllo dei rischi legati all’invecchiamento di apparecchiature e impianti. Si entra nel merito dei piani che devono tenere conto dei meccanismi di deterioramento presenti, inclusi corrosione interna ed esterna, erosione, fatica termica e meccanica. La normativa quindi si aggiorna e offre uno stimolo, per i gestori, a valutare il proprio sistema di gestione dell’Asset Integrity.
Oggigiorno, l’Asset Integrity può essere visto come una componente dell’Asset Management, nel quale la generazione di valore dagli asset porta a considerare i rischi a tutto tondo, comprendendo le perdite di opportunità per il business.
Sarebbe infatti strategicamente limitante fare riferimento solo ad asset rilevanti dal punto di vista delle normative di HSE poiché ci sono asset che, pur non essendo rilevanti per il SGS-PIR, sono comunque critici semplicemente perché un guasto può portare a discontinuità nel business per perdite di produzione. Diventa fondamentale conoscere tutti gli asset critici e associare, a ciascuno, il livello di criticità legato alla continuità di business. Qui si apre un mondo legato alle strategie manutentive da adottare sugli item critici, alle valutazioni sul ciclo di vita di queste attrezzature e ad eventuali pratiche di Life Cycle Extension. Garantire il traguardo degli obiettivi di produzione è un successo ma oggi assume rilevanza anche la gestione dell’intera vita degli asset.
In questi contesti qual è il contributo del 4.0?
Milioni di dati a disposizione, interconnessione di sistemi governati da Operations e Processi e sistemi governati dall’Ingegneria di Manutenzione ci consentono un monitoraggio in tempo reale della vita degli asset. Nel campo delle attrezzature a pressione (e non solo) un semplice sistema di monitoraggio delle Finestre Operative di Integrità, connesso con un software dinamico della gestione delle analisi RBI (e quindi al software delle Ispezioni) e coadiuvato da opportuna sensoristica, ci permette una gestione ottimale delle attività ispettive e un aggiornamento in tempo reale del fine vita degli asset. Possiamo, così, creare i digital twin dell’asset e, così facendo, siamo di fronte a una realtà in cui l’Asset Integrity si basa su un monitoraggio continuo e su manutenzione predittiva che va oltre i semplici interventi on condition.
Ho sempre avuto la ferma convinzione che un buon piano di Asset Integrity sia determinante sia per gli aspetti legati alla sicurezza, sia per traguardare gli obiettivi produttivi, sia per sviluppare e tenere vivo un piano strategico di sostenibilità nel medio lungo periodo.
Gli asset sono la nostra fonte di valore e la vera sfida per i Manager è quella di prendere le giuste decisioni in ambito tecnico e organizzativo, poiché oggi, più che nel passato, ci sono gli strumenti per massimizzarne la disponibilità operativa che è la mission di ogni gestore.
Marcello Pintus, Responsabile ispezioni, SARLUX; Coordinatore Regionale Sardegna A.I.MAN.