Il rischio è alla base della manutenzione

Un excursus sulla manutenzione basata sui rischi da evitare e qualche riflessione sul futuro

  • Giugno 20, 2022
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    Il rischio è alla base della manutenzione

Il ruolo del responsabile della manutenzione è un lavoro ad alto rischio. Non so perché, ma in azienda, dietro a ogni problema c’è sempre una macchina che non ha funzionato come avrebbe dovuto, quindi, direttamente o indirettamente, la colpa ricade sempre sulla manutenzione e di conseguenza sul suo capo, con i rischi che ciò comporta. Purtroppo, a livello sindacale, non c’è ancora un’indennità di rischio riservata ai capi della manutenzione, ma spero che venga istituita a breve.

In passato il rischio da evitare assolutamente era quello che gli impianti non ripartissero in un tempo ragionevole. Si ammetteva che l’impianto potesse fermarsi e che si impiegasse del tempo per rimetterlo in funzione, certo, ma non si dovevano sforare i due, massimo tre giorni. Questo breve lasso di tempo bastava per avere dei ricambi in magazzino e un tornio in officina: si poteva vivere senza troppi problemi. Non si sapeva cos’era la preventiva e, men che meno, la predittiva. La manutenzione vegetava in officina fino a quando non succedeva qualcosa, al che interveniva e iniziava a riparare.

Poi, un giorno, ci si è accorti che la concorrenza iniziava a diventare spietata e i fermi impianto avevano un costo difficile da ammortizzare, quindi, il rischio è diventato il fermo macchina, e il fine della manutenzione è diventato evitare il rischio di fermi, per cui, bisognava prevenire le rotture.

Sono nati così i piani di manutenzione.

Con il tempo, poi, la coscienza sociale si è evoluta e si è iniziato a parlare di “sicurezza sul lavoro” e mentre ai piani alti i responsabili della sicurezza lanciavano le loro procedure, al piano terra la manutenzione iniziava a far in modo che le macchine non fossero più un rischio per l’incolumità delle persone. La manutenzione ha iniziato quindi a prendersi carico dell’aspetto safety delle macchine, curando che non fossero pericolose, che non si fermassero e, nella malaugurata ipotesi che ciò succedesse, che fossero rapidamente riparabili.

Già a questo punto, elaborare un piano di manutenzione per un’azienda di dimensioni medio-grandi iniziava a essere un compito arduo. A complicare le cose alla manutenzione, ma a migliorarle al mondo, è arrivato anche l’ambiente, di conseguenza, gli impianti non dovevano inquinare, né diventare a rischio di inquinamento.

E per finire, con la Responsabilità Sociale d’Impresa, ci si è interessati anche al tessuto sociale che vive intorno all’attività produttiva cercando di evitare tutti quei rischi legati ai disagi che, pur non andando contro la normativa, sono di disturbo per la popolazione come, ad esempio, rumori, odori, disagi al traffico, ecc.

Per redigere i nuovi piani di manutenzione che tengano conto di tutte queste esigenze o, per meglio dire, di tutti questi rischi da evitare serve un supporto tecnico. Ci rifacciamo così alle tecniche di FMEA e ci aiutiamo con delle matrici. Si parte con una semplice matrice in cui riportiamo un asset nella prima colonna di ogni riga, nella seconda la probabilità che questo si rompa – normalmente un numero da 1 a 5 (1 molto bassa - 5 molto alta) –, nella terza la gravità delle conseguenze che un guasto potrebbe causare, anche in questo caso un numero tra 1 e 5 (1 conseguenze trascurabili - 5 conseguenze fatali) e nella quarta colonna il prodotto dei due numeri trovati prima (un numero compreso tra 1 e 25).

Una volta terminata la matrice si interviene immediatamente per tutti quegli asset che hanno valutazione finale 20 o 25, nel breve periodo per quelli che hanno valutazione tra 12 e 16 e nel medio periodo per quelli che hanno valutazione tra 8 e 10; per tutti gli altri si può decidere se intervenire o meno in base alle risorse messe a disposizione. Naturalmente gli interventi sono volti a diminuire questo numero e mirano, quindi, a diminuire la probabilità di guasto e le conseguenze del guasto stesso: questo è il compito di un buon piano di manutenzione, supportato nel caso, da qualche intervento di ingegneria.

Per definire questi punteggi si riunisce un team di esperti che, sulla base di conoscenze tecniche e dati storici, formula la probabilità di guasto e facendo simulazioni mentali stabilisce le conseguenze che il guasto potrebbe avere sull’attività produttiva, la sicurezza delle persone e l’ambiente.

In molti casi un approccio di questo genere viene considerato semplicistico per 2 motivi.

Il primo è che, specialmente in impianti molto grandi, non si riesce a fornire un elenco preciso e ordinato delle priorità, il secondo è che non si è sicuri che il team abbia analizzato proprio tutte le possibilità. Per ovviare a queste due problematiche si ricorre a matrici dello stesso tipo, ma più complesse.

Non c’è un limite ai punti da prendere in considerazione e le risposte vanno sempre da 1 a 5.

In questo modo si ottengono nell’ultima colonna una serie di numeri che ordinati dal più grande al più piccolo danno l’ordine di priorità esatto degli interventi da effettuare.

L’aspetto su cui voglio spendere una parola in più riguarda la fase di valutazione del rischio di rottura e delle sue conseguenze.

Per quanto riguarda la probabilità di rischio, se ci riferiamo solo ai componenti riusciamo a trovare dei dati in letteratura (ad esempio la vita media attesa di un cuscinetto), ma questi devono essere sempre rapportati all’ambiente in cui il componente lavora (in ambienti particolarmente polverosi, ad esempio, i cuscinetti durano meno). Se consideriamo invece il rischio di guasto di una macchina questo è legato sia al rischio di collasso di un componente che a problemi relativi al funzionamento dell’impianto stesso: ad esempio una pompa si può rompere per il cedimento di un cuscinetto o di una tenuta, ma può farlo altresì perché il processo a monte è fuori controllo e le manda un fluido più denso o perché è andata in cavitazione.

Ancor più difficile è pensare agli effetti che il guasto può provocare nei vari ambiti, dobbiamo immaginare come si possa effettuare la riparazione in sicurezza, se ci possono essere interferenze con chi si trova in zona, se possono fuoriuscire sostanze nocive o odori sgradevoli, ecc.

Ne consegue quindi che il lavoro che dovrà fare il team che compila queste matrici è basato su delle simulazioni mentali che consentano di immaginare il guasto e le sue conseguenze. Questo lavoro è sempre fatto da esperti del settore che hanno la capacità e l’esperienza per questo genere di astrazioni, ma giunti ad oggi mi sento di dire che la sola esperienza non basta, dobbiamo considerare fattori nuovi e magari anche metterci un po’ di fantasia.

Dopo gli eventi occorsi negli ultimi due anni dobbiamo iniziare a prendere in considerazione fattori ai quali non avevamo mai pensato prima: con la pandemia ci siamo trovati a dover spegnere in fretta e furia degli impianti in maniera improvvisa e imprevista e con la guerra in Ucraina ci siamo trovati di fronte al rischio di non avere più gas o energia elettrica.

Quando calcoliamo i nostri rischi dovremmo, quindi, prendere in considerazione anche situazioni di questo genere o immaginarne altre abbastanza catastrofiche come ad esempio, un terremoto o, se si è in prossimità di un fiume, un allagamento ecc.

Sono tutte situazioni improbabili ma non impossibili, quindi, da prendere in considerazione nel nostro calcolo dei rischi.

La mancanza di personale in una fabbrica chiusa o la mancanza di energia possono far venir meno controlli che normalmente diamo per scontati, una riparazione provvisoria che ci siamo riproposti di sanare in caso di fermo rimarrà provvisoria, con i rischi che questo comporta, una prolungata assenza di energia elettrica scaricherà batterie tampone e gruppi di continuità rendendo di fatto inutilizzabili gli strumenti che questi alimentano.

Concludo ribadendo che durante il lavoro di valutazione dei rischi non ci si deve limitare a ragionare pensando a quella che è la normale amministrazione, ma occorre prevedere più scenari possibili, per avere un serio piano di manutenzione basato, effettivamente, sull’analisi dei rischi.

a cura di Pietro Marchetti, Coordinatore Regionale sezione Emilia-Romagna, A.I.MAN.