Quando l’Auto si ferma

In questo spunto di riflessione, condiviso con alcuni colleghi del CTS, ho usato volutamente la maiuscola per il sostantivo Automobile

  • Marzo 23, 2022
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    Quando l’Auto si ferma

I veicoli a trazione meccanica, con un sistema propulsivo autonomo si sono affermati a partire dalla prima metà del Novecento utilizzando gli effetti positivi della ricerca collegata anche agli scenari bellici, oltre alla progressiva industrializzazione dei processi. Potenza, autonomia, prestazioni sempre legate al “traino” esercitato dal fascino della velocità, della eleganza delle linee, per coinvolgere un pubblico sempre più ampio. Lo racconta bene Paolo Conte dell’attrattiva di una Topolino amaranto sui pedoni che nel momento della cosiddetta “rinascita” osservavano sfrecciare con invidia un giocattolino rombante alla portata di ben pochi cittadini. In seguito, le utilitarie, il cui prezzo era sempre al limite delle risorse di una famiglia modesta, si sono affermate a macchia d’olio, invadendo strade, vicoli, marciapiedi. I propulsori (almeno in Italia) erano sempre molto curati, seppur spartani, e consentivano una manutenzione “fai da te” al costo di poche lire.

Attorno agli anni ‘70 si afferma il motore diesel (pensato quasi un secolo prima da Rudolph Diesel per affrancare l’uomo dalle fatiche fisiche del lavoro), inizialmente rumoroso e “puzzolente”, diventa poi, grazie alla ricerca in casa Fiat e al common rail, un sistema dalle prestazioni eccellenti, con livelli di emissioni davvero contenute.

Partendo da Torino, si assiste alla nascita o sviluppo di stabilimenti giganteschi, quasi piccole cittadine in territori a vocazione agricola, mentre l’attrattiva dello stipendio fisso crea un cortocircuito inscindibile tra operaio, inurbamento, veicolo personale, rate da onorare… Si sta parlando di un processo che coinvolge schiere di operai specializzati (oltre ai quadri) valutabile in decine di migliaia di unità, distribuite da Nord a Sud, isole comprese; oltre al cosiddetto indotto. Nel frattempo, alcune aziende del comprensorio modenese scelgono di puntare al “top di gamma” in termini di estetica e prestazioni. Beni di lusso riservati a pochi, che si identificano in brand esclusivi. Il numero sempre crescente di veicoli, specie in ambito cittadino, crea non pochi problemi atmosferici: polveri sottili e gas inquinanti, che si accumulano specie in Inverno, portano a diversi fermi della circolazione. Tutti palliativi, mentre la R&D delle principali case automobilistiche si attiva per creare sistemi di gestione dei gas di scarico sempre più efficaci. I risultati di questi “trattamenti-post” sono soddisfacenti, ma i benefici di lungo periodo pur sempre limitati.

L’appannaggio della circolazione autonoma di uomini e merci non è un’esclusiva delle nazioni occidentali più evolute. Automezzi di ogni tipo invadono le strade e i sentieri di tutto il mondo, portando beni e servizi, ma anche inquinamento ovunque. Il clima (anche grazie all’apporto dei gas serra di varia provenienza) sta modificandosi in maniera talvolta drammatica; gli effetti di alcuni mutamenti sono sotto gli occhi di tutti, e i governi (in maniera alquanto schizofrenica) scelgono alcune strategie per intervenire (in primis) sul contenimento dei consumi dei combustibili fossili. Ne consegue un periodo di diversi anni in cui le principali aziende del settore O&G sospendono gli investimenti nel campo ricerca ed esplorazione di nuovi possibili pozzi estrattivi. L’economia green (benvenuta e indispensabile per la salvaguardia del nostro futuro habitat) costringe nell’angolo tutti i combustibili di provenienza fossile. Il carbone ha i giorni contati, ma anche petrolio e in parte il gas divengono nemici dichiarati dell’ambiente in cui viviamo. I giovani, specie quelli nati dopo il 2000, sono sempre meno affascinati dal “rombo” di un propulsore automobilistico. L’auto (seppur indispensabile) viene considerata meno trendy del trasporto pubblico o del monopattino elettrico. Nel frattempo, le catastrofi legate al clima (che di suo, storicamente prevede cicli di riscaldamento alternati a periodi di “gelo”) divengono sempre più devastanti. Ne consegue la decisione, molto sofferta, di porre un limite temporale alla produzione e commercializzazione dei motori a combustione interna e per primo il diesel. In concomitanza con la conferenza sul clima di Glasgow dello scorso autunno si comunicano dei termini (a cui non tutti i governi aderiscono) per ottenere la mitigazione delle temperature ambientali. L’annuncio dello stop al motore diesel crea un vero panico nel mondo automotive, e in particolare in Italia, che potremmo definire la patria di simili propulsori, stradali e non. Le conseguenze di alcune “improvvide” dichiarazioni creano un profondo disorientamento.

Molti interlocutori, anche prestigiosi, della nostrana motor valley hanno di fatto cominciato a guardarsi attorno per cercare nuovi e durevoli sbocchi professionali. Non si creano dal nulla tali comprensori produttivi; la tecnica specifica è frutto del lavoro quotidiano di una moltitudine di interpreti, a loro volta ispirati da progetti di ricerca lunghi molti anni. La mancanza di certezze per il futuro che verrà, assieme al clima di smobilitazione di alcuni reparti chiave, sta creando i presupposti per una fuga di cervelli epocale. I nuovi sistemi per autotrazione ibrido ed elettrico, su cui tra l’altro in Italia non abbiamo una pregressa, consolidata esperienza, richiedono investimenti giganteschi, e prevedono un numero assai ridotto di attori, sia come progettazione che come produzione, oltre ai numerosi interrogativi su dove e come rimediare quell’energia “pulita” (elettrica) in sostituzione dei carburanti tradizionali.

La buona volontà e le istanze verdi (più che motivate) non bastano a risolvere i nodi cruciali della trasformazione di carattere umano, culturale che dovremo affrontare a breve. Ma se (in tempi brevissimi) non riusciremo ad individuare una strategia nazionale, con una “visione” che contemperi esigenze futuribili di emissioni “0” alle attuali necessità logistiche, pratiche, con la dovuta attenzione al settore automobilistico nostrano, rischiamo un collasso che può coinvolgere decine di migliaia di operatori, con tutte le conseguenze sociali ed economiche del caso.

Giuseppe Adriani, Coordinatore Regionale A.I.MAN. Toscana