Investire nelle rinnovabili per recuperare competitività

Sono molte le società di ingegneria e le grandi aziende che stanno investendo nel nuovo combustibile verde del futuro: l’obiettivo è produrre idrogeno abbandonando il ricorso al reforming dei combustibili fossili, individuando tecnologie rinnovabili e

  • Novembre 22, 2021
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    Investire nelle rinnovabili per recuperare competitività

L’imprenditore che investe in energie rinnovabili migliora la competitività aziendale e aiuta il pianeta. Queste fonti di energia sono ricavate da risorse naturali virtualmente inesauribili, come la luce solare, il vento, la pioggia, le maree, il calore geotermico della Terra e i moti ondosi. Le applicazioni principali riguardano la produzione di energia elettrica e di calore, da riutilizzarsi per molteplici scopi. Il mercato delle energie rinnovabili è da anni in continua ascesa: nel rapporto 2017 redatto da REN21, un’organizzazione internazionale costituita da politici, industriali e scienziati che promuovono l’utilizzo di queste risorse, è emerso che ormai il 19,3% del consumo globale di energia è coperto da esse. In percentuale i contributi principali sono forniti dall’utilizzo di biocombustibili, dall’energia termica ricavata da biomasse, da geotermico e solare, e dall’energia idroelettrica ed eolica.

Secondo il rapporto nel solo 2017 si stima che gli investimenti nel settore delle rinnovabili abbiamo raggiunto i 280 miliardi di dollari americani: in testa agli investitori emergono Cina e Stati Uniti d’America. Anche l’Unione Europea si impegna da anni nella trasformazione del suo sistema energetico. Nel 2009 è stata varata la direttiva RED I, che stabiliva la quota obbligatoria di copertura dei consumi da parte delle energie rinnovabili pari al 20% entro il 2020. L’obiettivo è stato raggiunto e superato, come hanno dimostrato i Piani nazionali di energia e clima presentati nel 2020 dai 27 Stati membri. Con la direttiva RED II si è alzato al 32% l’indice minimo di copertura da energie pulite entro il 2030. L’obiettivo a lungo termine è azzerare le emissioni di carbonio entro il 2050, considerando i gravi effetti sul clima che determino. Le tecnologie basate su vento, energia solare e biomasse hanno fatto passi da gigante negli ultimi decenni. Tuttavia, lo strumento principe individuato da economisti e politici per sancire l’abbandono definitivo dei combustibili fossili a vantaggio delle fonti rinnovabili è l‘utilizzo del nuovo combustibile verde del futuro: l’idrogeno, che diverrà il motore dei settori più energivori del pianeta: industria e trasporti.

Sono molte le società di ingegneria e le grandi aziende che stanno investendo in questo campo: l’obiettivo è produrre idrogeno abbandonando il ricorso al reforming dei combustibili fossili, individuando tecnologie rinnovabili e sostenibili. Molto interesse sta destando la sintesi dell’idrogeno a partire dall’elettricità in eccesso prodotta dagli impianti fotovoltaici. Quest’ultima è molto difficile da immagazzinare rischia di andare perduta. L’idrogeno, a differenza, può comodamente essere stoccato in gradi serbatoi interrati, a costi competitivi. Ma che ricadute avrà questa riconversione globale sul tessuto microeconomico italiano? A che cambiamenti saranno chiamati nei prossimi venti o trent’anni le nostre aziende?

È indubbio che a oggi il ricorso alle energie rinnovabili in Italia è sostenuto in gran parte dal settore domestico. Sono ancora poche le industrie che utilizzano questi sistemi per cicli produttivi o climatizzazione. È necessario riconoscere che, se la tecnologia dell’idrogeno è ormai pronta, non è ancora alla portata di tutti. La trasformazione può iniziare in modo graduale, facendo ricorso a tecnologie più conosciute e disponibili. La più diffusa è sicuramente la produzione di energia a partire dalla radiazione solare, sfruttando l’effetto fotovoltaico, ossia la proprietà di alcuni materiali semiconduttori di generare elettricità se colpiti da radiazione luminosa. Il silicio, molto diffuso in natura, è il materiale base per la costruzione della cella fotovoltaica, che rappresenta l’elemento base del pannello. Più celle sono connesse tra loro per costituire il modulo. Collegando più moduli si costituisce un impianto, che a seconda delle dimensioni può arrivare a produrre migliaia di Chilowatt.

In Italia un impianto può produrre un’energia tra i 1.000 e i 1.500 KWh per ogni 10 metri quadri di moduli installati. La vita media è di circa 20 – 25
anni. La corrente può essere consumata direttamente o riemessa in rete. È anche possibile accumularla in batterie per riutilizzarla
quando l’impianto “non produce”, ad esempio la notte. È interessante consultare il rapporto statistico 2020 del GSE (Gestore dei Servizi Energetici SpA) sul solare fotovoltaico per avere un’idea della diffusione e dell’utilizzo di questa tecnologia.

Al 31 dicembre 2020 si registrava la presenza di un milione di impianti: circa l’80% era a servizio di utenze domestiche ed era caratterizzato da taglie medio - piccole, dai 3 ai 20 KW. Gli impianti a servizio del terziario erano soltanto l’11%. Quelli a servizio dell’industria il 4% e quelli per l’agricoltura il 3%. Sebbene i dati siano in crescita rispetto agli anni precedenti, i margini di miglioramento sono enormi. A scoraggiare gli investimenti vi sono problemi legati all’incertezza politica, alla scadenza di alcuni incentivi e ovviamente alla crisi sanitaria, che sta giocando un ruolo determinante. Un’altra tecnologia subito utilizzabile e a bassi costi è il solare termico, che trasferisce il calore della radiazione solare a un fluido termovettore, incanalato in un circuito che lo porterà a un accumulatore, ad esempio contenente acqua. Il calore può essere utilizzato in impianti di processo, e trova le sue principali applicazioni nel settore dei tessuti e della trasformazione di alcuni prodotti agricoli.

Un altro importante esempio di utilizzo intelligente delle risorse rinnovabili è il ricorso alle pompe di calore elettriche: esse sottraggono calore da un ambiente a temperatura inferiore cedendolo ad uno a temperatura più alta. In questo caso il calore è sottratto all’aria esterna, alle falde acquifere o al terreno, ed è ceduto all’ambiente da riscaldare. Invertendo il ciclo è anche possibile raffreddare gli ambienti. L’utilizzo è considerato energeticamente efficiente perché l’energia generata è di molto superiore all’energia elettrica necessaria al funzionamento della macchina.

La trasformazione da un sistema tradizionale a uno energeticamente efficiente è un processo lungo e complesso, che passa attraverso un cambio drastico di mentalità aziendale e una diagnosi accurata dei consumi. È dovere di ciascuno essere conscio dei cambiamenti che ci aspettano, facendo la propria parte nell’abbandono definitivo dei combustibili fossili, per un’economia più eco – sostenibile e un piante più sano.

Riccardo Baldelli, Responsabile Sez. Building Asset Management, A.I.MAN.

Alessandro Baldelli, System and Safety Manager, Ricam