Approccio Comportamentale alla Manutenzione Autonoma

Un punto di vista meno procedurale, in cui il comportamento dell’operatore è il cardine dell’intervento e la sua capacità di spostare l’attenzione alla genesi del problema, prima ancora di cercarne la soluzione

  • Novembre 22, 2021
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    Approccio Comportamentale alla Manutenzione Autonoma

L’Operatore di Produzione che svolge attività di Manutenzione Autonoma, deve possedere quelle competenze che lo rendono capace di agire a fronte di situazioni non previste, ovvero di instabilità del processo produttivo.

Deve pertanto essere in grado di intercettare piccoli segnali premonitori di una deriva in atto, di comprenderne le cause e di intervenire con azioni opportune.

Un Operatore quindi autonomo nella valutazione degli eventi e degli effetti delle conseguenze.

 

 

Non solo pulire e lubrificare

Gli interventi di pulizia dei macchinari e di rabbocco dei lubrificanti sono tra le attività più usuali di un piano di Manutenzione Autonoma.
Questo, in quanto il TPM, dal quale la Manutenzione Autonoma trae origine, è una metodologia Lean e come tale è indirizzata alla ricerca della massima efficienza dei mezzi di produzione, ottenuta dalle attività a valore.
La Manutenzione Autonoma è quindi finalizzata alla eliminazione delle condizioni che determinano situazioni non a valore (indisponibilità, inefficienza e scarti) e, come noto, sporcizia, mancata lubrificazione, o trafilamenti, rappresentano le principali cause di guasto o avaria.
Connotando la Manutenzione Autonoma quale manutenzione preventiva, all’Operatore di Produzione è richiesta quella competenza che lo rende capace di   eseguire dei lavori sulla base di istruzioni standardizzate e tempi pianificati. Ma questa competenza del “Saper Fare” è sufficiente a coprire il bisogno del mantenimento in efficienza dei macchinari?  Forse lo era ai tempi della Industry 2.0, oggi, sicuramente, non lo è più.

La Industry 4.0 richiede un diverso approccio al quesito, ovvero bisogna favorire un salto culturale che sposti l’attenzione dal “Saper Fare” verso l’orizzonte più ampio del “Saper Essere”, occorre cioè che l’abilità dell’Operatore nell’esecuzione di un lavoro di manutenzione sia sempre più supportata dalla sua capacità di comprendere il valore della attività stessa, e che questo capire si traduca in quella motivazione che favorisce la partecipazione e la condivisione degli obiettivi di performance richiesti dal management.

La Manutenzione Autonoma diventa così un modello comportamentale perché è il comportamento dell’Operatore il cardine dell’intervento, quella condizione che lo rende capace di superare il limite di un sistema codificato e standardizzato (piani di manutenzione) per aprirsi a un sistema a volte più vago, spesso indeterminato, dove le scelte sono guidate dal know-how posseduto. È la capacità di spostare l’attenzione alla genesi del problema, prima ancora di cercarne la soluzione.

Il Problem Finding: la scoperta del problema

«La formulazione di un problema è spesso di gran lunga più importante della sua soluzione» (Einstein)

La Manutenzione è fortemente reattiva e questo rappresenta un limite quando l’azione si caratterizza sulla soluzione (riparare il guasto) e non sulla comprensione del problema che ha generato il guasto (analisi delle cause).  La capacità di individuare un problema diventa fondamentale quanto più è una scoperta precoce, ovvero manifestato da un segnale premonitore.

Questa capacità richiede doti di osservazione, intuizione, apertura intellettuale, creatività, ed è tipica del Problem Finding. Pertanto, se è vero che il manutentore è un Problem Solver, possiamo considerare l’Operatore di Produzione, addetto alla Manutenzione Autonoma, un Problem Finder.

La vigilanza, intesa come capacità di osservare e saper valutare le conseguenze di un comportamento anomalo della macchina, piuttosto che il comportamento a rischio di un individuo, diventa la competenza “core” dell’Operatore-Problem Finder.

Classificazione dei comportamenti a rischio nelle attività di manutenzione 

L’applicazione diffusa della Root Cause Analysis ci conferma che il 90% degli infortuni ha una matrice comportamentale (Human Error), allo stesso modo possiamo presumere che una percentuale altissima di guasti abbia una causa determinata da un comportamento errato, come il caso di un cuscinetto montato male perché il manutentore aveva fretta…

Le diverse attività di manutenzione possono essere fortemente penalizzate da comportamenti a rischio da parte dei Manutentori e Operatori e pertanto dare origine a conseguenze anche gravemente rilevanti. Abbiamo infatti:

Manutenzione Correttiva Urgente

Intervento manutentivo caratterizzato da condizioni di stress che portano a situazioni di sottostima del pericolo, disordine, fretta, errori di comunicazione, sovrastima delle proprie capacità.

Manutenzione Preventiva

Intervento manutentivo codificato e standardizzato. L’eccesso di sicurezza nei lavori ripetitivi porta a situazioni di distrazione e non rispetto regole.

Manutenzione Autonoma

Semplice Intervento manutentivo regolato da Istruzione Operativa. La confidenza con le attività da realizzare porta a situazioni di sottostima del pericolo o di sovrastima delle proprie capacità.

Conclusioni: Cosa chiediamo all’Operatore – Problem Finder?

  • Partecipazione attiva e vigile del processo produttivo e spiccata attenzione ai segnali premonitori;
  • capacità di individuare il problema, lasciando al Problem Solver (il manutentore) la soluzione;
  • individuazione del problema, non manifesto, attraverso la formulazione di scenari possibili di guasto, valutazione della probabilità di accadimento e peso delle conseguenze (abbandonare il pensiero “non è mai successo!”);
  • capacità di osservazione e valutazione di quei comportamenti (propri o degli altri Operatori) che possano diventare causa di infortunio o negligenza nei lavori di manutenzione.

Francesco Gittarelli, Membro del Consiglio Direttivo, A.I.MAN.