Asset Management e normative di manutenzione

Come si adeguano, spesso a posteriori, le norme ed i regolamenti sulla manutenzione dei trasporti

  • Maggio 9, 2019
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Le norme delle “origini” in ambito del trasporto terrestre

Con l’inizio del servizio di trasporto terrestre, pubblico o collettivo e privato o individuale, in particolare di quello su ferro, divenne indispensabile e indifferibile definire “regole” per lo svolgimento del servizio stesso, regole che in un primo tempo si limitarono a disciplinare le condizioni generali dell’esercizio. Esse erano perciò finalizzate quasi esclusivamente a regolare la circolazione, dapprima dei treni e, successivamente, anche dei veicoli stradali (regolamenti per la circolazione dei treni o – embrionali – codici della strada). Furono inoltre (praticamente da subito) fissati i requisiti – tecnici, qualitativi ed eventualmente anche professionali – occorrenti per la certificazione o abilitazione delle persone coinvolte nell’esercizio: nel caso del trasporto su strada l’abilitazione a condurre unveicolo (integrata da una specifica  certificazione professionale per i conducenti in servizio pubblico); nel caso del trasporto su ferro l’abilitazione a guidare i convogli (“macchinisti”) o a servirli (“fuochisti”) o a frenarli (“frenatori”) o a regolarne in sicurezza la circolazione (“capi treno”, “manovratori”, “deviatori1”, “dirigenti movimento”,…2).

Si comprende facilmente che (anche nel caso del servizio pubblico o collettivo) il tema dell’integrità, dell’idoneità, delle condizioni e dello stato generale dei veicoli utilizzati e circolanti o delle infrastrutture percorse non era tra i primi interessi per l’ente normatore. In realtà non era considerato insignificante, ma si riteneva che tale tema riguardasse, di fatto, soltanto il proprietario del veicolo o rotabile o dell’infrastruttura (a quel tempo nel caso del servizio pubblico quasi sempre il proprietario era anche l’esercente), poiché si pensava che il loro proprietario avesse tutto l’interesse a curare efficacemente (quindi a manutenere adeguatamente) i veicoli o rotabili o le infrastrutture per salvaguardare il valore dei suoi beni (assets) e per non doversi fare carico di penali o risarcimenti qualora eventi dannosi accaduti fossero attribuiti (e quindi addebitati) ai suoi asset: in pratica si riteneva dunque che il proprietario salvaguardasse il suo capitale agendo nei modi più adeguati ed efficaci in tutto l’ambito della sua attività, manutenzione compresa. Da questa impostazione logicamente discende che norme generali sulla manutenzione o prescrizioni ufficiali per l’abilitazione o la certificazione deimanutentori non fossero emesse, ma lasciate all’iniziativa e alla responsabilità dell’esercente.

Dalla manutenzione finalizzata alla sicurezza d’esercizio a quella anche finalizzata alla conservazione degli Asset

Nei decenni successivi gli enti normatori e glioperatori cominciarono a estendere la loro attività anche alla manutenzione, dapprima quasi soltanto quella influente sulla sicurezza dell’esercizio:

norme, prescrizioni, piani di manutenzione, istruzioni operative,… furono quindi emessi sia per disciplinare l’esecuzione della manutenzione, sia per verificarne periodicamente i risultati, sia (in tempi più recenti) per definire le modalità di formazione professionale e di qualificazione dei manutentori.

Nei proprietari degli asset e particolarmente negli operatori l’interesse e il coinvolgimento nella manutenzione si ampliarono dalla sola sicurezza d’esercizio – per i motivi sopra detti – alla regolarità d’esercizio – poiché essa è fondamen tale per una buona redditività dell’impresa – e infine alla manutenzione di tutte le parti del veicolo o rotabile o dell’infrastruttura: quindi si giunse alla consapevolezza che la corretta, adeguata ed efficace manutenzione di un asset metro-ferro-tranviario (veicoli o rotabili e infrastruttura) non è importante soltanto per la sicurezza e la regolarità dell’esercizio, ma anche per la conservazione in efficienza e quindi per la possibilità di un proficuo utilizzo dell’asset durante la sua ultradecennale vita in modo da assicurare la redditività del servizio offerto per molti anni.

Il Life Cycle Cost (LCC)

Considerando dunque come rilevante per il proprietario o l’esercente dell’asset tutta la vita utile di quest’ultimo, dagli Anni Ottanta del secolo scorso nell’ambito del trasporto su ferro si fece strada il concetto e/o metodo di valutazione e verifica (peraltro già definito e utilizzato da alcuni decenni nell’ambito aeronautico…) del Life Cycle Cost. Brevemente descrivendo, esso consiste nel considerare tutti i costi che, in tutta la vita dell’asset, saranno (in fase preliminare e progettuale) o sono addebitati (in fase consuntivale e operativa): costo per l’acquisto, costo per l’esercizio, costo per la manutenzione preventiva (di qualunque livello) e correttiva in tutta la vita utile, costo di dismissione o alienazione o rottamazione,…

Nell’LCC la manutenzione gioca il ruolo quasi principale, ma comunque determinante, proprio per il lungo periodo durante il quale è eseguita: infatti può (meglio: dovrebbe) guidare la progettazione dell’asset verso scelte progettuali che – sebbene più costose nell’acquisto per la maggiore affidabilità necessaria, per la migliore manutenibilità richiesta (ossia per la migliore facilità nell’esecuzione delle attività manutentive, facilità che dipende da migliori condizioni o situazioni di accessibilità e/o trasportabilità e/o manipolabilità,… delle parti dell’asset) e quindi per una maggiore disponibilità dell’asset per svolgere il servizio – possano ridurre significativamente ed efficacemente il costo della manutenzione dell’asset inizialmente preventivabile3 e poi consuntivabile e verificabile lungo tutta la vita utile dello stesso. Non bisogna tuttavia dimenticare che le scelte progettuali incidono sia direttamente sul costo di (primo) acquisto dell’asset, sia sul costo per la sua manutenzione (come appena detto), sia sul costo per la sua dismissione (materiali impiegati, smontaggio da eseguire, recupero possibile,…).

Generalmente le spese “pure” o “dirette” d’esercizio (personale a bordo del convoglio, energia consumata, pedaggi per le “tracce-orario”, ecc.) non sono considerate nell’LCC. Spesso, proprio per la sua preminenza nell’LCC “globale/ totale” o “completo”, l’LCC che si considera si limita alla sola fase della manutenzione, come può accadere nel caso di service di manutenzione terziarizzato dall’esercente.

L’Italia e l’Unione Europea in tema di manutenzione dei rotabil ferroviari

Con la Direttiva 91/440/CEE4 l’Unione Europea ha stabilito la liberalizzazione del traffico ferroviario nei Paesi membri dell’UE e ha prescritto che nelle ferrovie nazionali (all’epoca tutte sta tali) la rete infrastrutturale e il trasporto fossero separate, costituendosi così (nella terminologia italiana) un Gestore dell’Infrastruttura (“GI”) e almeno un’Impresa Ferroviaria (“IF”), ossia l’operatore del trasporto ferroviario (merci a passeggeri). Successivamente l’UE ha emesso altre Direttive per aggiornare, integrare, estendere la Direttiva 91/440/CEE: la 2001/12/CE, la 2001/13/CE e la 2001/14/CE5.

Nel 2001 l’UE stabilì in particolare le regole per l’accesso alla rete da parte degli operatori; nel 2007 l’UE stabilì in particolare le regole per l’interoperabilità (le Specifiche Tecniche di Interoperabilità / Technical Specifications for Interoperability o “STI/TSI”)e la sicurezza ed istituì l’European Union Agency for Railways (“ERA”); nel 2007 l’UE stabilì la liberalizzazione del traffico passeggeri internazionale transfrontaliero6 (quello merci era liberalizzato e operante dal 2001). In Italia nel 2007 fu istituita l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie (“ANSF”) che cominciò a operare dal 16/6/2008 (essa dal 1°/12/2018 è confluita nell’istituita Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie e delle Infrastrutture Stradali e Autostradali o “ANSFISA”)8: la sua competenza era dapprima soltanto su Rete Ferroviaria Italiana “RFI”, poi fu estesa anche a tutte le società, linee, reti ferroviarie connesse con RFI e infine a tutte le società, reti, linee ferroviarie, anche se non collegate con RFI9.

Il disastroso incidente10 nella stazione di Viareggio del 29 giugno 200911 fece rilevare e comprendere che la pluralità di “attori”12 nel trasporto ferroviario liberalizzato – nell’evento specifico quello merci, ma potenzialmente anche quello passeggeri – era del tutto insicuro se anche la manutenzione dei rotabili circolanti in più Paesi, dell’UE e terzi non fosse stata disciplinata e regolata severamente13: pertanto l’UE ha emesso il “Regolamento per la sicurezza nella manutenzione per i vagoni merci ferroviari” n° 445/2011 – in corso di estensione14 anche alle locomotive e alle carrozze passeggeri – con il quale sono fissati i generali requisiti tecnici, progettuali, operativi, esecutivi della figura/ruolo “ECM” (Entity in Charge of Maintenance), le modalità per la sua qualificazione, abilitazione e certificazione e anche i generalirequisiti professionali e tecnici del personale che è autorizzato ad eseguire la manutenzione (distinta per più livelli e condizioni) sugli organi, apparati e impianti “di sicurezza” dei rotabili; il dettaglio e l’integrazione di tali requisiti sono demandati alle Agenzie per la sicurezza ferroviaria di ogni Paese15. L’ECM è pure disciplinato dalla “Norma 18A” del “Railways and Other Guided Transport Systems (Safety) Regulation” (“ROGS”).

Note

1 Non si confonda la figura professionale del “deviatore” (in Inglese pointman; in Francese aigulleur; in Tedesco Betriebsaufseher), cioè l’agente ferroviario incaricato di predisporre gli itinerari o istradamenti che un treno o una manovra deve percorrere, manovrando opportunamente gli scambi, con lo scambio, cioè con l’apparecchio del binario chiamato “deviatoio” (in Inglese pointswithc; in Francese aigulle; in Tedesco Weiche)…

2 Queste denominazioni sono quelle proprie della terminologia italiana, in particolare delle Ferrovie dello Stato, ma si possono trovare – quasi identiche – anche presso le società ferroviarie italiane precedenti la costituzione (1905) delle Ferrovie dello Stato oppure presso le altre società ferroviarie fuori Italia.

3 L’LCC è preventivato per periodi più brevi dell’intera vita utile allorquando esso è calcolato per un’offerta di service manutentivo (solitamente di durata parziale e inferiore alla vita utile dell’asset).

4 Decreto Legislativo 146/1999 di recepimento in Italia.

5 Decreto Legislativo 188/2003 di recepimento in Italia per tutte e tre.

6 Ossia non era ancora consentito che un treno passeggeri internazionale potesse fare servizio tra località all’estero.

7 Decreto Legislativo 162/2007 di recepimento in Italia della Direttiva 2004/49/CE.

8 È cioè stata istituita qualche mese dopo il catastrofico crollo del viadotto “Morandi” dell’autostrada A10, crollo quasi probabilmente causato – almeno secondo quanto è più diffusamente riportato – da manutenzione insufficiente o inadeguata.

9 Restano di competenza dell’USTIF (“Ufficio Speciale Trasporti Impianti Fissi”) del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti le reti tranviarie, quelle di metropolitana, gli impianti a fune, ecc.

10 L’altrettanto eclatante incidente ferroviario tra Andria e Corato avvenuto il 12 luglio 2016 (23 morti e almeno 50 feriti) è stato causato da errore nella gestione del traffico ferroviario su un tratto di linea a binario unico della rete della società “Ferrotramviaria”, all’epoca non sotto il controllo dell’ANSF ma ancora dell’USTIF.

11 La prima ferrocisterna di un treno operato da Trenitalia deragliò e si capovolse per la rottura del fusello di uno dei quattro assili e si squarciò (probabilmente urtando un elemento della “picchettazione della curva” e/o le rotaie e/o il pietrisco della massicciata) rilasciando il gas – GPL – che s’incendiò (probabilmente per le scintille provocate dall’urto) ed esplose formando, radente al suolo, una “bomba termica” che causò 32 morti e almeno 17 feriti nelle vicinanze della stazione.

12 La rete era quella di Rete Ferroviaria Italiana “RFI” (quale “GI”), l’operatore era Trenitalia “TI” (quale “IF”), il servizio era stato richiesto da una società di logistica italiana, i carri/vagoni erano di proprietà di una società di noleggio in un Paese estero, la loro revisione era stata eseguita da una seconda società in un altro Paese estero e la loro manutenzione correnteera eseguita da una terza società in un terzo Paese…

13 Prima della liberalizzazione, l’interscambio internazionale di rotabili tra le amministrazione ferroviarie avveniva sostanzialmente con la restituzione tempestiva o programmata del rotabile dal Paese destinatario al Paese mittente e proprietario, che ne era pertanto anche il manutentore. Le carrozze o i rotabili “bloccati” viaggiavano in andata-ritorno tra i due Paesi. I vagoni erano sollecitamente restituiti all’amministrazione proprietaria o carichi di merci destinati a quest’ultima o vuoti, salvo il caso dei vagoni (tutti standardizzati dall’UIC – “Union Internationale des Chemins de fer” - come tipo e come componenti soggetti a manutenzione corrente semplice) facenti parti del pool dell’UIC denominato “EUROP” che potevano (e tuttora potrebbero) essere utilizzati (carichi o vuoti) dal primo destinatario per invio a un secondo destinatario (anche qualora quest’ultimo non sia il precedente mittente o il proprietario) e anche sottoposti alla manutenzione di “basso” livello presso un manutentore (necessariamente ora certificatocome “ECM”) di un Paese diverso da quello dell’amministrazione proprietaria.

14 Tutti i contratti di service manutentivo per i rotabili (di trazione e rimorchiati) prescrivono ormai procedure del tutto simili e coerenti con il suddetto Regolamento 445/2011.

15 La Svizzera, pur non essendo membro dell’UE, ne segue le regole per l’interoperabilità ferroviaria e per la manutenzione dei rotabili interoperabili.

 

Marco Galfrè, Già Responsabile Manutenzione, Alstom