Autobus a idrogeno: una logistica complessa

Nonostante i vantaggi ambientali e di autonomia degli autobus a idrogeno, la loro diffusione nel trasporto pubblico italiano si scontra con una gestione operativa che richiede competenze specifiche e un quadro normativo ancora in evoluzione

  • Aprile 22, 2025
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    Autobus a idrogeno: una logistica complessa

A cura di Alessandro Sasso, Coordinatore Sezione Trasporti, A.I.MAN.

 

Le direttive europee che mirano ad ottenere, per il Trasporto Pubblico Locale, “emissioni zero allo scarico”, hanno posto nuovamente di attualità e reso pressochè ineluttabile la propulsione ad idrogeno per quel segmento di servizi che va dalle autolinee di tipo interurbano alla media percorrenza. 
Tale soluzione è l’unica, infatti, che consente le autonomie richieste ai veicoli elettrici (le batterie al litio sono comunque necessarie) e soprattutto garantisce un dimensionamento ottimale dei parchi senza necessità di riserve imposte dalla logistica delle ricariche dei bus elettrici (tempi elevati, scarsa adattabilità in caso di guasti ai sistemi di ricarica stessi). 
L’autobus idrogeno è dunque entrato in Italia in una fase di piena maturità con le recenti consegne destinate alle aree di Bologna, Ferrara, Modena e Venezia. Altre città si stanno aggiungendo a questo primo nucleo: Mantova, Gorizia, Pescara sono solo fra le prime ad avere annunciato programmi di acquisto di quantità significative di autobus con propulsione a idrogeno e anche alcune città del sud Italia guardano a questa soluzione. 
Non si tratta evidentemente di una tecnologia nuova in sé, tutt’altro: fermo restando che i primi esperimenti con celle a combustibile - il cuore del sistema - risalgono al remoto 1839 (lo stesso anno in cui in Italia si inaugurava la prima ferrovia, la Napoli Portici), parallelamente alla presentazione all’inizio di questo secolo del prototipo Iveco  su telaio Fiat 491, due importanti sperimentazioni furono avviate in Italia: a Sanremo con veicoli Van Hool, durata peraltro un solo anno, e a Bolzano la cui flotta iniziale si è via via incrementata negli anni vedendo in servizio proprio quei Solaris Urbino protagonisti delle ultime forniture. 
Il passaggio da dimensioni ridotte dei parchi ad un pieno utilizzo con quantità significative di veicoli e servizi non necessariamente “dedicati” rende oggi necessario porre alcuni interrogativi rispetto alla gestione di questo tipo di flotte: investimenti ingenti richiedono infatti che le strutture di gestione mantengano piena padronanza di tutti i processi. 

Chi fornisce l’idrogeno? 
Il primo quesito può apparire banale, ma va ricordato che l’idrogeno si giustifica economicamente soprattutto laddove la produzione avviene in loco: il ricorso a carri bombolai, come a suo tempo fatto a Imperia e nella stessa Bolzano, deve dunque lasciare spazio a impianti di rifornimento che integrano elettrolizzatori o altre soluzioni allo studio. Ciò evita costosi stoccaggi e infrastrutture per il trasporto. 
È per tale motivo che la costruzione di impianti chiavi in mano da questo punto di vista è particolarmente interessante per il mercato, non sussistendo sufficiente numero di professionalità sul territorio da poter gestire progetti eterogenei di questo tipo. 

Chi rifornisce i bus di notte? 
È forse l’aspetto meno visibile ma fra i più critici dell’intera catena logistica.
Occorrono operatori che, da un lato possiedano un sufficiente grado di istruzione e financo padronanza con la lingua italiana e dall’altro siano disponibili a turni notturni per eseguire un incarico tutto sommato di modesta prospettiva. 
L’attuale criticità che caratterizza il mercato del lavoro non è da questo punto di vista un aiuto. 

Chi decide la logistica? 
Il problema è che in realtà la risposta è “nessuno”: una somma di interessi non sempre convergenti caratterizza quasi tutti i progetti in essere. 
Un esempio è rappresentato da un plesso industriale che sorge nel Nord Italia in corrispondenza di un impianto di trattamento di idrocarburi rispetto al quale un complesso tavolo di confronto è attivo da mesi coinvolgendo soggetti numerosi ed eterogenei. Una delle criticità emerse in tale area è che la presenza di raccordi ferroviari portuali richiede di investire in passaggi a livello, in sistemi di comunicazione con la comunità portuale per conoscere gli orari delle manovre e impone una logistica complessa per l’entrata e uscita dei veicoli dall’area di deposito/rifornimento prevista. 
In sintesi, la pericolosità intrinseca di questo tipo di vettore energetico è senz’altro affrontabile dal punto di vista tecnico, ma la gestione del rischio impone costi elevati e una logistica estremamente complessa. 

Chi fa le regole? 
Pur essendo lontani dal Far West normativo, non esiste ancora un quadro definito e certo che regoli gli aspetti di sicurezza ed efficienza necessari a governare il processo di gestione di autobus a idrogeno. 
I vigili del fuoco spesso sono presenti a più tavoli di lavoro cui partecipano ovviamente costruttori ed esercenti; un ruolo interessante si è ritagliata anche l’Associazione Manutenzione Trasporti, la quale ha attivo un gruppo di lavoro che ha definito non solo una linea guida per la manutenzione e gestione di parchi di veicoli pesanti alimentati ad idrogeno, ma ha anche definito gli elementi costitutivi di un programma di formazione standardizzato per tutte le figure professionali coinvolte. Una visione olistica del tema impone infatti l’individuazione di un piano di formazione completo che consenta:
■ accesso alle professioni con programmi tecnici (qualifiche professionali, diploma e 
post diploma) aggiornati
■ formazione continua con aggiornamento professionale delle competenze
■ reperimento e formazione di figure delicate, come quella citata degli addetti al rifornimento 

Chi assicura gli autobus? 
Questo rischia di essere uno degli aspetti più costosi e infidi dell’intero tema: le società di assicurazione già hanno fatto registrare incrementi importanti in conseguenza della diffusione di veicoli elettrici. La presenza, oltre che delle batterie al litio, anche di bombole di idrogeno alla pressione di 300 bar (per le automobili si arriva fino a 700 bar) pongono interrogativi importanti rispetto alla sostenibilità a medio termine di tutti gli investimenti. 
Ecco perchè un’azione preventiva nei confronti delle compagnie di assicurazione che miri a garantire il pieno controllo del rischio attraverso un sistema di monitoraggio orientato alla road safety secondo lo standard ISO 39.001 è da più soggetti individuata come ormai indifferibile. 
Quelle che normalmente dovrebbero essere le conclusioni di un ragionamento rappresentano invece, qui, le basi di partenza, l’inizio di un percorso logico da sviluppare, considerando che le tecnologie sono ormai decisamente mature. 
Sono i processi di gestione, oggi, a dover essere progettati e costruiti.
Ex novo.