Facility, competenze e formazione

Dalla Istruzione alla Conoscenza, alla Conoscenza sperimentata. Luci e ombre sulla Manutenzione nel Facility Management

  • Luglio 14, 2017
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Dal secondo dopoguerra in poi l’edilizia è stata caratterizzata da una bassa meccanizzazione e da un elevato ricorso alla manodopera, prevalentemente poco qualificata. Il progressivo aumento della complessità impiantistica ha fatto nascere numerosi mestieri collaterali alla linea principale del lavoro edile, inizialmente incentrati, in prevalenza, sulla manutenzione e poi sulle attività di supporto alla gestione dei fabbricati.

Nasce così il Facility Management, nel quale però persiste la caratteristica di utilizzare, con le dovute eccezioni, manodopera poco qualificata. Le attività di manutenzione integrate nel mondo del Facility, oggetto delle nostre osservazioni, sono operate da manutentori meno qualificati rispetto alle corrispondenti mansioni che si trovano nel comparto industriale.

I clienti lamentano la scarsa attenzione verso il mantenimento di una sufficiente longevità dei sistemi, da parte delle imprese di servizi manutentivi, che si esprime in certi casi anche con un utilizzo improprio delle attrezzature e il conseguente peggioramento sia in termini affidabilistici sia in termini di costi di gestione.

La prospettiva di un accrescimento di complessità e di evoluzione tecnologica prossima ventura, con Internet of Thing, Big Data, e tutto l’armamentario della Industry 4.0, nel settore del costruito, se non cambiano le cose, aggraverà queste carenze con un impatto sia sul piano della sicurezza, sia nella tutela del patrimonio.

Il rischio è che questi sofisticati strumenti siano utilizzati male o in modo inappropriato con azioni che fanno proliferare guasti, malfunzionamenti, derive, eccetera.

Gli investimenti per l’Industry 4.0 avranno una resa inferiore se impattano su maestranze sotto qualificate. Il rischio del noto “Garbage In, Garbage Out”, è sempre presente da Charles Babbage in poi.

Il “Fattore Umano” nella manutenzione è e rimane importante anche nel mondo incombente delle nuove tecnologie.

Le esperienze condotte in questi trent’anni di presenza del TPM in Italia hanno confermato il valore portato dalla costante attenzione verso il personale di manutenzione, al punto che nel 2004, Giuseppe Meneguzzo (ex presidente di Aiman) sostenne la necessità di dedicare al “Fattore Uomo” una buona parte delle risorse investite nella manutenzione (Giuseppe Meneguzzo, Manutenzione: “Fattore uomo”, 2004).

Il TPM considera gli investimenti nel fattore umano una grande opportunità, perché le maestranze si devono adeguare alla funzione a loro assegnata, e ciò avviene non senza fatica.

I saggi filosofi dell’antico popolo degli Aria, avevano capito oltre 5000 anni fa che è la funzione che crea l’organo, in relazione alle proprie necessità e non viceversa. Cioè la vista modella l’organo di visione in modo da facilitare il più possibile questa funzione e così l’udito, il gusto, il tatto e l’odorato. La natura, generazione dopo generazione ha reso gli organi il più possibile adatti alla funzione che dovevano svolgere (Origine della Vita, Marco Ferrini, 2009). Così noi in tempi spaventosamente più brevi dobbiamo realizzare tali adattamenti nelle organizzazioni.

Ogni elemento della struttura organizzativa deve essere adatto alla funzione assegnata. Quindi, prima di fare le Smart City occorre fare le Smart Community e avere a che fare con Smart Maintainer, opportunamente formati.

La formazione delle maestranze è il percorso privilegiato per superare le carenze di skill, rendendo coerenti gli attestati e le certificazioni di qualità con il reale livello di conoscenze delle persone.

Quando si parla di conoscenze però bisogna intendersi bene.

Lo sapevano anche gli antichi, in oriente e in occidente, che una conoscenza non sperimentata è mero nozionismo e quindi l’accertamento delle conoscenze non può basarsi su un test esclusivamente teorico, ma deve comprendere delle verifiche concrete sulle capacità reali di far fronte anche a degli inconvenienti o a situazioni anomale.

La formazione come strumento di “gestazione” delle conoscenze insite nelle persone (la Maieutica di Socrate) non può limitarsi a quei rapporti in cui la persona apprende in una sorta di isolamento fisico, ma ci deve essere innanzitutto una situazione di gruppo dove la persona impara a condividere le conoscenze e a potenziarle utilizzando l’energia del gruppo, e poi è necessario usare un approccio didattico più in linea con l’atelier rinascimentale che con l’aula dove si svolgono i corsi.

Nel gruppo, l’originale didattica della lezione frontale, evolve nel più moderno learning by doing (imparare facendo) o meglio ancora nel learning by making (imparare fabbricando, ossia dall’idea al prodotto), un modello che permette alla persona di sperimentare le regole nel momento in cui le studia e le applica materialmente.

In questo modo si rimuovono le cause che più frequentemente ostacolano il successo formativo e alimentano la disaffezione delle maestranze rispetto alle lezioni teoriche, cosa che ho constatato spesso al termine di un corso.

In fondo il learning by making non è nemmeno un criterio moderno ma si è affacciato varie volte nella storia. Leonardo Da Vinci, ad esempio, è figlio di questa cultura del fare e dello sperimentare. Ma è Maria Montessori, una delle prime italiane laureate in medicina, che agli inizi del secolo scorso diede a questa forma didattica e pedagogica una impostazione moderna, al punto che ancora oggi è usata in tutto il mondo in migliaia di scuole materne, primarie, secondarie e superiori (Luca Borghi, Il medico di Roma, 2015).

Si tratta di un metodo didattico basato su modalità che stimolino la socializzazione, la cooperazione, l'apprendimento tra pari, scegliendo liberamente un proprio percorso educativo. Un'organizzazione delle attività educative, dei laboratori, degli ambienti e dei materiali didattici a disposizione, che favorisca l'apprendimento per scoperta e per "costruzione" delle conoscenze.

Analoghi principi seguì Don Milani, il quale creando la famosa scuola di Barbiana, ha dimostrato che l’educazione, l’empatia e la cultura possono portare ad una vera realizzazione umana.

La formazione nella Industry 4.0, come ai tempi del TPM, torna così ad essere il centro degli investimenti in manutenzione, la quale assieme ad una adeguata organizzazione garantisce sostenibilità nel medio periodo.

Si spendono tempo e risorse per valutare la qualifica del personale, anche facendo ricorso a certificazioni. Ma la qualifica e la certificazione sono valutazioni “a posteriori”, mentre di primaria importanza è l’individuazione di percorsi formativi adeguati, in modo che il personale una volta formato spunti migliori rating durante la qualifica.

Con le nuove tecnologie diventerà essenziale una reale integrazione fra uomo e macchina, qualcuno la chiama già quinta rivoluzione industriale, che aprirà una nuova frontiera dello sviluppo umano (Eugenio Marrari, Cosa c’è alle origini della rivoluzione digitale? Il sogno del “potenziamento umano”, 2016).

Siamo ad un passo da quando il manutentore chiederà ad un moderno HAL 9000 se ci sono guasti e dove, magari interagendo non con la voce come in 2001, Odissea nello Spazio, ma con il pensiero? O forse no.

Maurizio Cattaneo,
Coordinatore Regionale Emilia-Romagna e Umbria A.I.MAN.