Il significato del totem

Una riflessione sul presente e il futuro delle fonti energetiche e la loro sostenibilità

  • Settembre 7, 2017
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La più frequente critica ai miei interventi nel campo della sostenibilità in generale (che si parli di flussi energetici o bilanci aziendali) è che sono un “sognatore” ambientalista con voglia un po’ snob di guardare sempre al passato.

In pratica una palla al piede di chi vede solo benefici sostanziali (grazie al progresso infinito delle tecnologie) proprio “dietro l’angolo”.

L’argomento che va per la maggiore di questi tempi è la disponibilità illimitata di energia nelle sue varie forme e “produzioni”. Un campo in cui l’improvvisazione fa da padrone, con soluzioni da Bar Sport (luogo peraltro ameno) ove è sempre presente la confusione semantica tra i verbi produrre e convertire.

Noi uomini siamo incapaci di creare alcunché, data la nostra natura mortale, finita e circoscritta da fattori biologici (legati alla struttura genetica, ambiente, cibo etc.) e come tali siamo solo (niente di riduttivo in ciò) dei grandi trasformatori. Non diversamente dagli operosi castori ricorriamo al pollice opponibile (invece che ad acuminate zanne) per costruire (non creare, che é una funzione decisamente divina) manufatti pregevoli che poi ammiriamo con soddisfazione.

Il termine produrre implica l’assemblaggio ed elaborazione di certi materiali grezzi, che porta ad oggetti complessi ad elevato valore aggiunto.

In altre occasioni ho fatto notare che nel nostro habitat i soli veri produttori di energia sono gli organismi vegetali (alghe in primis e piante), dato che assemblano molecole inerti chimicamente (tipo la famigerata CO2 e l’acqua) confezionando pacchetti fruibili (nutrienti e saporiti) in guisa di sostanze alimentari.

La percezione che ha dell’energia (e specialmente della sua versione più facile cioè elettrica) l’uomo o donna comune è che si tratti un bene irrinunciabile, ubiquitario, ovvio e scontato.

Non interessa sapere come e perché esistano conflitti, scalate di poteri forti, o ricadute di sostanze contaminanti a seguito di errori gestionali sugli impianti, etc.

La preoccupazione fondamentale è che ce ne sia sempre in abbondanza, possibilmente più di quanta ne serve, al momento richiesto.

Si è tornati a parlare di energia nucleare, come toccasana alla nostra sete insaziabile di risorse; contestando nazioni come la Cina che, per soddisfare i suoi pressanti bisogni di crescita, “sforna” una centrale a carbone ogni poche settimane…

Dietro il termine “nucleare” esiste un mondo immaginario mutuato da Star Treck, in cui macchine asettiche e silenziose spingono navi stellari. Nella realtà si tratta di centrali che seppure ben fatte, sono molto complesse per garantirne la sicurezza e quindi costose, a cui tutti guardano con diffidenza. Tranne poi farci l’abitudine.

Il problema rimane sempre (mai risolto) quello delle scorie, ovvero dei sottoprodotti della trasformazione, come pure dei componenti contaminati direttamente o indirettamente dal processo. Le recenti problematiche in cui sono incorse numerose centrali di oltralpe, quasi tutte coeve e figlie di un’epoca in cui la sicurezza nazionale era il principale “driver” che spingeva a scelte strategiche incentrate sull’atomo, sono una puntuale testimonianza di quanto siano fragili certi equilibri, seppur consolidati.

Si scopre che molti di tali impianti hanno necessità di revamping strutturali, importanti; quindi costosi e di lunga durata.

Nessun processo chimico o fisico è privo di “ricadute”. Ma quasi tutta la CO2 emessa dal bosco in una notte (perché anche le piante verdi respirano come noi, al buio) al mattino rientra nel suo ciclo organicandosi in innocui, successivi passaggi.

L’anidride solforica presente nei fumi delle centrali a carbone di vecchia concezione si lega anch’essa all’umidità atmosferica e produce sostanze molto aggressive (acido solforico) non ottimali per la vita animale o vegetale. Di per sé non c’è niente di immorale nella emissione di sostanze nocive, purché in ambienti “lontani da casa mia” o come dicono gli anglosassoni n.i.m.y. (not in my yard) Dato che i principi etici sono divenuti elastici, non più fondamenti assoluti e da qualche decennio in qua si adattano alle circostanze contingenti.

Ma le scorie radioattive pare proprio non le apprezzi nessuno! In genere divengono merce di scambio (a costi altissimi) o si volatilizzano dietro cortine censorie, nel nome del segreto militare.

Ma quando sento dire che il fotovoltaico è ingombrante (quanti ettari per “un solo megawatt?!”) o che le pale eoliche sono antiestetiche mi viene da sorridere.

È come se noi piccoli uomini, padroni del mondo da non più di un secolo, grazie alle risorse (ritenute a torto infinite) derivate dai combustibili fossili, avessimo oramai inserito nel codice genetico tale assunto. In realtà l’inefficienza dei sistemi “alternativi” è evidente; sono macchine ancora imperfette e non capaci di competere, ma nei confronti di che cosa esattamente?

Della centrale turbogas a ciclo combinato che “divora” tonnellate di metano ora (e sappiamo quanto è leggero tale gas) o di un diesel elettrico da 10 MeW che emette “x” metri cubi di ossidi di azoto e polveri sottili?

Se per ipotesi al Sig. Rudolph Diesel si fosse presentato (come in Ritorno al Futuro) un personaggio che avesse mostrato le potenzialità del Silicio microcristallino, forse oggi il nostro mondo sarebbe diverso…Venendo al nostro quotidiano, possiamo osservare innumerevoli (subdoli ed efficienti) parchimetri che operano senza allacci alla rete, oppure strutture di pronto intervento sanitario che lavorano (nel terzo mondo, ma non solo), con luce ed energia di sola derivazione solare. Poca, ma sufficiente per risolvere il problema contingente!

L’effetto mediatico di un impianto energetico basato su principi (essenzialmente etici, in questa fase, in attesa degli auspicabili sviluppi) della rinnovabilità della fonte è potente.

Induce riflessioni positive in chi osserva.

Quel gigantesco totem sulla vetta di un colle, e la lenta, quasi ipnotica rotazione delle gigantesche pale hanno un forte impatto educativo.

E se davvero occorrono tanti metri quadri per produrre quei “pochi” kilowatt per uso domestico (pari all’incirca alla copertura del tetto di un’abitazione) forse possiamo immaginare l’instaurarsi di un circolo virtuoso, cominciando a pensare in termini “finiti” nei confronti dell’unico mondo di cui disponiamo.