Inossidabili

Racconti di uomini e luoghi in un’acciaieria del nord Italia, a cura di Lorenzo Valmachino (Capitolo 4)

  • Maggio 4, 2018
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  • Un ricordo del passato... Trevisan, il più in alto a destra, con docenti e allievi della scuola Cogne, classe 1975-76
    Un ricordo del passato... Trevisan, il più in alto a destra, con docenti e allievi della scuola Cogne, classe 1975-76

Lo scorso mese abbiamo lasciato un Gianfranco Trevisan carico di disegni e materiali recuperati dalla SIP di Torino, che dovevano servire come base per la realizzazione del progetto della sottosta­zione a 220.000 Volt di Cogne. Nel nuovo capitolo di questo numero, Trevisan riper­corre l’evoluzione tortuosa di quei momenti... la frenesia, le difficoltà, anche la paura... ma la consapevolezza, infine, di aver contribuito alla realizzazione di qualcosa di importante. Che diventa anche spunto per l’inizio di qual­cos’altro, una nuova avventura, una nuova sfida con se stesso.

Alessandro Ariu

Capitolo 4 – Grande Capo

Posa il primo trasformatore, un Savigliano, profuma ancora di tardo risorgimento, nome di antica fabbrica italiana, di sapere da pia­nura piemontese. Sono i signori che per le ferrovie costruiscono i ponti sul Po e le loco­motive trifase; dalle loro officine vengono le strutture metalliche della Stazione Centrale di Milano. Un giorno incontra il direttore di stabilimento – “a che punto sei? Sono poi ar­rivati i quadri elettrici nuovi?”- Trevisan ha la risposta per le grandi occasioni: - gli dico: “guardi, che domani, siamo in parallelo”. Per dare un’idea […] della fiducia che mi dava. Sa­peva più o meno quello che io facevo; però… io: “domani, primo parallelo” -.

Ce l’ha fatta: Trevisan è un grande. - E allora lì sono quei momenti… magici: tu hai lavora­to mesi e mesi e mesi per fare una cosa ed è tutto affidato ad un manipolatore… – sono di fronte ad un uomo che mette nella stes­sa frase magico e manipolatore e gli sorrido incantato. - Entrare su una rete a 220.000 per la prima volta. E là, veramente, ti senti… paura anche eh, paura perché butti fuori tutte le centrali… se non lo prendi. Le apparecchiature […] sono regolate nel modo giusto? Che non vai a fare un’opposizione di fase? Che butti fuori il mondo? –. Sussurra appena - invece, quando fai tac, la prima volta e vedi la lampada che si spegne, fai tac […] e quando la luce rimane fissa, tacchete… pofff… e ti trovi collegato ad una rete nazionale, 220.000 Volt, una potenza… - ricomincio a respirare men­tre ripercorro questa storia incredibile e Trevisan disegna schemi elettrici sul tavolo, con le sue dita asciutte e forti, da Grande Capo. Lo sguardo? Da Grande Capo. I modi? Da Grande Capo. Le storie? Da Grande Capo: - nel nostro ambito sbagli una volta sola, perché poi, se ti va male, non sbagli più, e allora ci voleva attenzione…abilità; e allora io, anche per dare fiducia al personale, toccavo per primo gli impianti. Mi ricordo una volta, dovevamo rifare i regolatori… c’erano tre macchine, da 2100 KW, e i regolatori erano sfasciati… proprio vecchissimi… e solo il capo centrale riusciva a far entrare in parallelo le macchine. Quando ho cominciato a lavorarci, i miei turnisti stavano sulla porta, pronti a scappare, perché andavano in velocità di fuga queste macchine-.

Le sue storie mi corrono davanti, in velocità di fuga, motori impazziti. Trevisan vorrebbe che io vedessi con i suoi occhi, non è possibile, ma sono attentissimo e provo a coglierne i significati. Mi racconta di un intervento lungo e complesso, si sforza di spiegarmi tutti i passaggi tecnici, io faccio cenni d’approvazione con la testa fingendo di aver capito, lui se ne accorge e sintetizza: - c’era da fare questo, c’era da fare quello; sempre con la centrale in funzione. Un pezzettino alla volta. Tagliavi il vecchio, mettevi il nuovo – un tiro, un centro - un la­vorare… un lavoraccio; però, quando ti piacciono le cose, le fai sempre ...- mi sfugge la tecnica, capisco il significato.

Mi racconta degli infiniti problemi avuti durante una fermata estiva – perché è l’unico momento…io in 15 giorni dovevo fare la manuten­zione di tutto l’anno… e manovre e non manovre, isola questo e isola quello, una roba veramente… - non riporto la tecnica, il significato è nella conclusione : - dove volevo, io arrivavo sempre dappertutto – è un’ affermazione senza arroganza, garantisco - arrivavi perché ci mettevi del tuo. Adesso che è tutto molto più… le procedure, le chia­mano – e dice “procedure” come un’offesa mortale - adesso capisco che la gente, anche i capi, sono ingessati. Devono fare quello; lo sanno fare anche molto bene, ma non escono da quel seminato. Invece io ero abituato proprio a poter gestire. Informavo i miei superiori. Io faccio questo, faccio quell’altro, ma siccome continuavano a dire “vai benis­simo, non c’è problema”… -.

Libertà mentale, organizzativa e anche fisica: - ti potevi muovere. Io avevo una macchina, qui all’interno dello stabilimento. E giravo. An­davo di qua, andavo di là. Avevo bisogno di conoscere tutti i reparti, vedere come funzionavano tutti gli impianti – tecnica, poi significato: - che però in certi reparti non prendevo neanche un caffè… perché la siderurgia purtroppo porta ad essere… una sporcizia…una cosa veramente…cioè, non so… […]. Che poi l’acciaio lo sapevano fare, lo facevano benissimo, la Cogne non ha acquistato un nome così… tanto per… Però era fatto in un modo… che noi eravamo tutti… tutti più attenti, più precisi, più puliti soprattutto - .

Trevisan si ferma, apre la bocca, la chiude, la riapre – una volta ho avuto un’idea – bel modo di cominciare un racconto, penso; e poi penso anche di aver capito il suo metodo e che mi parlerà di ciclo­scopi, frequenzimetri, rifasamenti, sinusoidi, angoli di sfasamento per poi chiudere con una visione. Invece mi sorprende: - insegnavo alla scuola di fabbrica, e ,tanto per fare un po’ di chiacchiere con i ragazzi , chiedo: “tuo padre cosa fa?”. “Lavora alla Cogne”. “Si, ma cosa fa?”. “Non so”. “Avrai un’idea?”. “Mah… non so”. “Saprai se lavora in ac­ciaieria, in laminatoio?”. “Mah… non so”. Un altro, la stessa risposta: “mah, non so… So che lavora, ma non so cosa faccia”; e allora mi sono detto: “perché non faccio venire io i parenti dei miei dipendenti qui dentro, che sappiano cosa fanno i loro genitori, i loro padri, no?” […].

E rivedo il suo codice segreto con i valori e le immagini che attribuisce, nel bene e nel male, ad almeno tre concetti: tecnica, siderurgia, socializ­zazione. E rivedo quest’uomo che quando ha un’idea la mette in pratica con la forza di chi si sente predestinato, con gli occhi che brillano di una luce calda e ferma, e il tono di chi non ha bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. Il direttore è dubbioso e fan­no la riunione più veloce della storia: - “sono molto preoccupato” – dice a Trevisan – si fidi – gli risponde. - […]Saranno state una ventina di persone. Ognuno si era portato la moglie, i figli; io anche. “Ognuno di voi spiegherà qual’ è il suo mestiere” - perché sono uomini con un mestiere, non una mansione. - Erano tutti con­tenti. Avevano preparato…hanno fatto tutto da loro[…]. Han preparato un bel tavolo, con tutto il ben di Dio sopra: è stata una festa -. Il direttore chiama ed è la telefonata più veloce della sto­ria: - “com’è andata?” - chiede a Trevisan - una meraviglia - gli risponde.

... continua sul numero di Giugno di Manutenzione T&M