La manutenzione nella progettazione di una filovia

Un elemento centrale nella gestione della realizzazione dell’impianto, nonché l’unico che consente di governare i costi

  • Agosto 11, 2020
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    La manutenzione nella progettazione di una filovia

La disponibilità di ingenti fondi ministeriali quali previsti dall’Avviso del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti relativo alla Legge 11 dicembre 2016, numero 232, articolo 1, comma 140, per interventi nel trasporto rapido di massa, ha portato alla presentazione di numerose istanze di finanziamento, fra le quali un ruolo non marginale è rappresentato da progetti di potenziamento/ammodernamento di reti filoviarie.

I costi di gestione di questo tipo di sistemi risentono fortemente della manutenzione, in quanto la presenza di un impianto fisso evidenzia voci di spesa direttamente imputabili ad esso, a differenza dei sistemi di trasporto automobilistico nei quali, in generale, le stesse sono suddivise fra la gestione di infrastrutture di rifornimento (erogazione carburanti o colonnine di ricarica) e complementi di arredo urbano il cui mantenimento è coperto dalla fiscalità generale.
Di come sia evoluta la domanda di competenze in questo settore si è già parlato nel numero 124 di Manutenzione T&M; questa volta trattiamo il tema dal punto di vista degli impianti e delle officine.

Impianti

Volendo identificare una ideale scomposizione degli asset facenti parte di una rete filoviaria, l’elenco minimo deve comprendere:

  • Palificazione, tubolare o a traliccio, tipicamente metallica (non sono infrequenti pali in cemento).
  • Ganci di ancoraggio agli edifici, dal basso impatto ambientale in ambito urbano ma di difficile realizzazione ex novo a causa della disciplina in materia che coinvolge i proprietari degli immobili.
  • Eventuale sospensione longitudinale, presente nelle tratte con campate di maggiore lunghezza, caratterizzata da una autoregolazione rispetto alle dilatazioni termiche.
  • Amarri e tiranti; la scelta die materiali (prevalentemente acciaio o Teflon) influisce sulle operazioni di regolazione periodica, con intervalli rispettivamente maggiori e minori.
  • Scambi, incroci e confluenze, oggi prevalentemente telecomandati con sistemi radio azionati dai veicoli e gestiti mediante sistema centralizzato per la predisposizione degli itinerari corrispondenti a ciascuna linea, sì da minimizzare l’interazione da parte dei filovieri.
  • Sottostazioni elettriche di alimentazione e relativi feeder.

Circa queste ultime la tendenza ormai generalizzata, in analogia a quanto avvenuto nel settore ferrotranviario, è la totale automazione con telecomando e telecontrollo degli impianti. La presenza di sistemi di misura in continuo rende possibile l’implementazione di pratiche di manutenzione predittiva, invero poco utilizzata per l’intrinseca durabilità di questo tipo di impianti e dei componenti impiegati.

Va detto che la presenza di impianti fissi al giorno d’oggi può essere ridotta, eliminando gli stessi, ad esempio, in aree urbane considerato ad alto pregio architettonico o presso i depositi, così da eliminare la necessità di complessi (e costosi) impianti aerei con scambi e incroci. Ciò avviene in virtù della marcia autonoma dei moderni filobus, sviluppata in Italia a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso (scuole di pensiero di altri paesi prevedevano di evitarla favorendo la semplicità ed economicità dei veicoli) e oggi attuata non più mediante motogeneratore termico ma grazie a sistemi di accumulo che impiegano in maniera anche combinata fra loro batterie e supercapacitori. Tale modalità è denominata “IMQ” (In Motion Charging) e consente, in teoria, di svolgere il servizio anche prescindendo da estese tratte di bifilare, nonostante la buona pratica tenda a scoraggiare questo tipo di applicazione “estesa”.
È importante che il responsabile di manutenzione di una filovia, nella persona del Direttore di Esercizio come da DPR 753/80 (“Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto”, pubblicato sulla GU n.314 del 15-11-1980 - Supplemento Ordinario), disponga di un database degli asset il più completo possibile; se infatti ciò ha sempre rappresentato un’opportunità per mantenere un controllo di processo e una necessità rispetto all’utilizzo di software per la manutenzione, l’attuale fase di progressiva evoluzione del quadro legislativo di riferimento farà sì che proprio uno strumento di questo genere sia in futuro utilizzato per operare verifiche da parte di autorità di controllo esterne, in maniera più analitica rispetto a quanto storicamente svolto, pur con egregi risultati, dall’USTIF.

Non trattandosi di impianti particolarmente estesi (se raffrontati a una rete ferroviaria o a una rete di distribuzione dell’energia elettrica) l’eventuale georeferenziazione di ciascun elemento rappresenta un’opportunità ma non un dato essenziale, semplificando con ciò la realizzazione dei database stessi.
Per la loro costruzione e per la verifica visiva degli oggetti di manutenzione sono disponibili oggi servizi basati sull’uso di droni che consentono di ottenere il grado di dettaglio voluto (sia nello spettro del visibile che mediante termografie) e di mantenere un controllo continuo degli elementi sottoposti a monitoraggio, certificando lo stato degli stessi ad ogni passaggio e indirizzando in maniera automatica gli eventuale interventi di manutenzione correttiva, quando non  anticipando i fenomeni di guasto.

Depositi officina

Come prima menzionato, la tendenza attuale è quella di semplificare in maniera significativa gli impianti di deposito-officina, limitando il bifilare, quando presente, ad un semplice anello di entrata/uscita dei veicoli, utile altresì allo svolgimento di prove elettriche e di funzionamento sotto rete.

Tale necessità deriva anche da ragioni di sicurezza: un noto caso in bibliografia, verificatosi proprio in un deposito del nord Italia, è relativo ad un fenomeno di apparente corto circuito avvenuto fra l’asta filoviaria negativa e la capriata metallica a copertura dell’edificio: da misure effettuate la differenza di potenziale fra la terra misurata in loco e lo “zero” V del bifilare filoviario (valore di terra in corrispondenza della sottostazione elettrica di alimentazione, posta a meno di un chilometro) risultava superiore ai 60 V. La potenziale pericolosità di tale situazione portò alla disalimentazione del bifilare di deposito.

Detto che i nuovi filobus possiedono supercapacitori e/o batterie al litio, per queste ultime occorre prevedere un idoneo sistema di stoccaggio e controllo, a causa delle caratteristiche fisico-chimiche delle stesse: come noto si sono infatti verificati numerosi casi di esplosione ed incendio su cellulari, PC, tablet, ecc. Eccessivi stress meccanici, elettrici e termici causano in realtà micro corto circuiti interni che generano calore; questo calore è causa a sua volta di altri corto circuiti in una reazione a catena chiamata «thermal runaway» o «deriva termica»: il calore che si genera aumenta esponenzialmente e diventa molto maggiore di quello che la batteria riesce a dissipare. Per tali motivi, pur essendo previsto l’uso di estintori a polvere, l’acqua si è dimostrata finora il più valido mezzo per il controllo dell’incendio di batterie agli ioni di litio, soprattutto se usata in grandissima quantità e per lungo tempo, allo scopo di raffreddare l’esterno del pacco batterie. L’uso di estintori a CO2 o a polvere chimica è poco efficace perché può sopprimere le fiamme solo temporaneamente, ma senza una lunga opera di raffreddamento non è possibile limitare la propagazione del thermal runaway, visto che potrebbe essere necessario raffreddare le batterie per molte ore allo scopo di evitare la reignizione.

Un’officina filoviaria deve in ogni caso essere sempre attrezzata per i lavori in quota (trabattelli, scale isolate, linee vita) per la manutenzione degli equipaggiamenti installati sul tetto dei veicoli, che oltre alle tradizionali aste filoviarie e all’aria condizionata comprendono ormai generalmente buona parte degli azionamenti di trazione. Anche le attrezzature di officina e i DPI in dotazione ai manutentori devono essere idonei ai lavori elettrici per tensioni fino a 1000 V (simbolo del “doppio triangolo” e marcatura CE).

Infine, fra gli asset di officina figurano a pieno titolo i software di manutenzione: al di là di quanto detto a proposito della scomposizione degli impianti, tali sistemi devono necessariamente risultare orientati allo svolgimento dei lavori elettrici secondo la norma CEI 11-27, con possibilità di identificazione nell’ambito del processo delle figure coinvolte con verifica che tutte le operazioni soggette a verifica siano correttamente assegnate a personale in possesso della qualifica idonea. SI tratta di un passaggio per nulla scontato, che le software house del settore devono conoscere bene per rispondere ad esigenze che, trattandosi obblighi derivanti dall’applicazione del D.Lgs 81/08, hanno rilevanza penale.

Conclusioni

L’autore ha partecipato alla progettazione degli impianti di Ancona e Sanremo adottando un approccio che vede la manutenzione quale elemento centrale nella gestione, l’unico che consente di governare i costi.
L’evoluzione in atto, sia nel quadro normativo di riferimento sia nella realizzazione stessa dei veicoli e degli impianti, impone oggi ai direttori di esercizio, una rigorosa applicazione, per la manutenzione dei veicoli, dei principi enunciati dalla Norma CEI 11-27 sui lavori elettrici, ivi compresa la scrittura di una procedura di riferimento secondo le buone pratiche di settore; ma non basta: occorre anche un totale ripensamento rispetto alle operazioni di manutenzione degli impianti, arrivando alla scrittura di un vero e proprio piano di manutenzione degli stessi, basato sui medesimi paradigmi che hanno orientato l’evoluzione del settore ferroviario e che sfrutti le opportunità messe a disposizione dalle tecnologie correnti.

Si tratta di una sfida non da poco ma, ancora una volta, l’Associazione Manutenzione Trasporti si pone quale community a supporto dei soggetti chiamati a raccoglierla.

Alessandro Sasso