A cura di Antonella Petrillo, Professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Napoli “Parthenope”
Fino a pochi anni fa, la manutenzione era affidata esclusivamente a ingegneri, tecnici e specialisti. Oggi, tuttavia, il panorama è notevolmente cambiato. L’avvento della digitalizzazione (termine che deriva dall’inglese “digit”), ha introdotto strumenti avanzati che hanno trasformato profondamente il settore. Non è più una novità che tecnologie come l’Internet of Things (IoT), l’intelligenza artificiale e l’analisi dei big data consentono di raccogliere e analizzare enormi quantità di informazioni in tempo reale, permettendo di anticipare guasti e ottimizzare gli interventi manutentivi. Parliamo di Manutenzione 4.0.
Esempi tangibili di questa trasformazione sono i grandi player del panorama mondiale da Siemens, a General Electric a Bosch che hanno implementato soluzioni IoT e di machine learning nei loro impianti produttivi, dimostrando come queste tecnologie siano ormai alla base di una manutenzione più efficiente e tempestiva.
Questo scenario ha segnato un passo avanti significativo nella gestione della manutenzione combinando competenze tradizionali con le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie digitali. Non solo viene migliorata l’efficienza operativa, ma anche la gestione dei dati raccolti che richiede una condivisione strutturata della conoscenza all’interno dell’organizzazione. Allo stesso tempo l’affidabilità dei sistemi digitali e la sicurezza delle informazioni sono diventate fondamentali. Occorre però “instaurare” e “costruire” la fiducia nelle tecnologie adottate. La manutenzione moderna si configura sempre più come un processo complesso che integra tecniche avanzate, gestione strategica dei dati e solide misure di cybersecurity per garantire operazioni sicure ed efficienti.
I dati sono diventati un elemento chiave nella manutenzione predittiva. Ma i dati da soli non bastano.
Servono competenze specifiche per interpretarli e trasformarli in azioni concrete, il che richiede una combinazione di conoscenze tecniche e multidisciplinari.
Il recente Manifesto della Meccanica 2025 di Anima Confindustria mette in luce proprio l’importanza di un’industria meccanica italiana innovativa, sostenibile e competitiva. Tra le priorità emergenti, l’integrazione delle tecnologie digitali, la sostenibilità e la valorizzazione delle competenze sono visti come pilastri per il futuro della manutenzione.
In un mondo sempre più digitale, tuttavia è essenziale anche potersi fidare delle tecnologie e degli algoritmi. Ci affidiamo sempre più a modelli matematici per prendere decisioni fondamentali, ma è importante chiedersi: chi garantisce che questi algoritmi siano affidabili, imparziali e sicuri? Con l’aumento dei rischi legati agli attacchi informatici, alla manipolazione dei dati e alle distorsioni nei modelli predittivi, la sfida si fa ancora più complessa. Come ricordava Norbert Wiener, padre della cibernetica, “il vero pericolo delle macchine non è che inizino a pensare come gli uomini, ma che gli uomini inizino a pensare come le macchine”.
Dobbiamo quindi assicurarci che le nuove tecnologie possano essere un volano per il supporto ed il potenziamento delle capacità umane. In definitiva l’introduzione di strumenti tecnologici avanzati non dovrebbe diminuire il ruolo dell’uomo nel processo decisionale, ma amplificarne la capacità di raggiungere obiettivi (efficacia) e di comprendere e analizzare informazioni (intelligenza). Solo così possiamo evitare che la tecnologia diventi un fine a sé stante, preservando il nostro ruolo centrale nella definizione e nell’attuazione delle decisioni che plasmano la società.
Se un impianto industriale può oggi auto-diagnosticarsi e prevenire guasti grazie all’IoT e al machine learning, la sfida che ci aspetta è “custodire” il sapere tecnico accumulato nel tempo. Il rischio di una transizione digitale troppo rapida è quello di perdere il valore delle competenze umane, dell’intuito e della capacità di risolvere problemi in contesti complessi. Formare nuovi professionisti non significa solo insegnare a usare strumenti digitali, ma anche preservare l’ingegno e la capacità di adattamento che caratterizzano l’essere umano.
La valorizzazione delle competenze e l’attrazione di giovani talenti costituiscono un obiettivo primario per il settore per affrontare la sfida della transizione digitale senza sacrificare il valore umano e l’ingegno.
Se tutto viene misurato da sensori e algoritmi, quale spazio resta alla creatività e alla responsabilità? Il caso delle auto a guida autonoma è emblematico: chi è responsabile in caso di errore? Il programmatore? Il produttore? L’utilizzatore? Occorre stabilire standard e linee guida per garantire che la tecnologia serva l’uomo e non il contrario.
Il futuro della manutenzione è nella capacità di guardare oltre. Le infrastrutture invisibili che sostengono il mondo digitale devono essere gestite con la stessa cura con cui preserviamo ponti, impianti e macchinari. Il progresso tecnologico può essere una straordinaria leva di crescita, ma solo se rimane saldamente guidato da valori umani e da una visione etica.
La sfida futura non è solo quella di garantire il funzionamento delle infrastrutture, ma anche di preservare il patrimonio di conoscenze e intuizioni.
In fondo, come ci ricorda una celebre frase di Arthur C. Clarke, “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Sta a noi decidere se questa magia sarà un’illusione o una promessa mantenuta.