Lean e Total Productive Maintenance in Lindt

L’esperienza di successo nell'azienda di Induno Olona, in provincia di Varese

  • Febbraio 10, 2017
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  • Figura 1 - Percorso del TPM a Induno Olona
    Figura 1 - Percorso del TPM a Induno Olona
  • Figura 2 – Organizzazione del TPM a Induno Olona
    Figura 2 – Organizzazione del TPM a Induno Olona
  • Figura 3 – Esempio di stratificazione dei guasti e pilastri di riferimento per la soluzione dei problemi
    Figura 3 – Esempio di stratificazione dei guasti e pilastri di riferimento per la soluzione dei problemi
  • Figura 4 – Esempi di standard creati
    Figura 4 – Esempi di standard creati

La Lindt di Induno Olona (Varese), parte del gruppo svizzero Lindt & Sprüngli, è riuscita in pochi anni ad ottenere un consistente aumento dell’efficienza delle linee di produzione attraverso l’introduzione della metodologia Lean e, in particolare, del Total Productive Maintenance (TPM).

Il TPM è stata approcciato nel 2010 sotto la spinta di diversi bisogni generati dal mercato e internamente al gruppo. La fabbrica aveva dei volumi in crescita, con la prospettiva di un forte incremento ulteriore; inoltre, si assisteva ad un cambiamento nel mix di produzione (con la produzione di più di 800 diversi prodotti), che rendeva sfidante il mantenimento dell’efficienza di produzione. Contemporaneamente, era necessario garantire una struttura di costi competitiva per “vincere” la concorrenza interna di altri poli produttivi del gruppo. Inoltre, esistevano diverse problematiche nelle Operations di fabbrica, tra cui la presenza di linee a bassa efficienza e la mancanza di una cultura diffusa della misura delle prestazioni. Si deve poi considerare che, essendo la produzione stagionale, e dovendo cambiare la forza lavoro da una linea all’altra a ogni ripartenza, si riscontrava in molte persone un’inadeguata conoscenza delle linee su cui operavano.

Introduzione e sviluppo della metodologia TPM

La Direzione Operations ha optato per un approccio molto pragmatico per l’introduzione del TPM. Non è partita con un progetto di grandi dimensioni per risolvere subito tutti i problemi, ma ha approcciato il cambiamento per passi progressivi.

Il percorso seguito a partire dal 2010 è stato tracciato partendo prima di tutto dalla misura: è stata istituzionalizzata una raccolta di indicatori, con un approccio bottom up da ciascuna linea di produzione (PCS – Performance Control System). Organizzativamente, è stata quindi definita una riunione quotidiana tra capi linea, capo-reparto e manutentori di area per discutere l’andamento della produzione nel giorno precedente; successivamente, i capi di tutte le linee insieme si confrontano in una riunione giornaliera e, una volta alla settimana, vengono aggregati i risultati delle linee e commentati in una riunione della Direzione Operations. Il tutto è stato gestito con la definizione di regole semplici in modo da stimolare una discussione efficace e la ricerca di un risultato utile in tempi brevi. Ad esempio, ciascun caporeparto ha pochi minuti per parlare (5 minuti di Sicurezza, 5 minuti di Qualità, 10 delle Efficienze): passato il primo periodo di adattamento, si è capito che avendo poco tempo si doveva parlare solamente delle cose davvero importanti.

La fase immediatamente successiva, preparatoria per il resto del progetto, è stata l’applicazione del metodo delle 5 ‘S’. In accordo con il metodo, si è proceduto ad eliminare tutto ciò che non serve nella postazione di lavoro (“Seiri”), organizzare in modo efficiente strumenti, attrezzature, materiali, … (“Seiton”), controllare l’ordine e la pulizia (“Seison”), mantenere l’ordine e la pulizia, cercando di migliorare (“Seiketsu”) e imponendo la giusta disciplina nel tempo (“Shitsuke”). Una volta implementati i KPIs (Key Performance Indicators) e le 5 ‘S’ come “fondamenta”, tra il 2013 e il 2014 sono stati introdotti gli 8 pilastri del TPM.

Organizzativamente, è previsto il coinvolgimento dei livelli manageriali attraverso uno Steering Committee che si riunisce mensilmente coordinato dal Direttore Operations. In accordo con le direttive dello Steering Committee, ciascun Pillar Leader – come se fosse un consulente interno che ha imparato bene la metodologia specifica di un Pilastro e la insegna a tutti gli altri – supporta il lavoro dei supervisori d’area che hanno il compito di portare avanti lo sviluppo del pilastro con i team di operatori dell’area supervisionata.

Un focus sul pilastro Planned Maintenance

Il pilastro PM si pone l’obiettivo di azzerare i guasti con un processo di eliminazione completa e definitiva. Per raggiungere questo obiettivo occorre intraprendere il seguente percorso:

  1. Definire un team possibilmente inter-funzionale;
  2. Formare ciascun membro del team su obiettivi, logiche e strumenti della metodologia TPM (la formazione serve sia per comprendere e seguire ordinatamente il percorso per il Pilastro PM, che per comprendere e usare gli strumenti del TPM quali, ad esempio, diagramma di ISHIKAWA (4 M - 5M), break down analysis, Standard Kaizen – Quick Kaizen);
  3. Individuare e sviluppare i KPIs (Key Performance Indicators) ed i KAIs (Key Activity Indicators) necessari per monitorare l’andamento dei processi in corso.

Una volta impostato il percorso, all’interno della struttura dello stabilimento Lindt di Induno Olona, sono state realizzate diverse attività fondamentali per il raggiungimento dei risultati oggi conseguiti:

  • l’aggiornamento dell’elenco di macchine / attrezzature e la definizione delle logiche ABC per classificarne l’importanza per il processo produttivo;
  • il supporto dei team di Autonomous Maintenance (pilastro AM) nel ripristino delle condizioni di base degli impianti e nella formazione tecnica del personale di produzione;
  • l’introduzione della definizione di guasto, distinguendo tra short-stoppages, aggiustamenti a cura di operatore di produzione o tecnico di manutenzione, breakdowns veri e propri (quest’ultimi caratterizzati da un fermo macchina superiore ai 10 minuti, richiesta di intervento di un tecnico di manutenzione e sostituzione o riparazione di un pezzo);
  • l’introduzione di un sistema di raccolta dei dati di efficienza delle linee produttive basato sugli archivi provenienti dal MES (sistema informativo di Produzione) e dal CMMS (sistema informativo di Manutenzione);
  • l’introduzione di un sistema di analisi dei dati, con il coinvolgimento di volta in volta dei colleghi dei pilastri più appropriati;
  • l’introduzione di un meccanismo di aggiornamento periodico della skill matrix al fine di definire i migliori programmi di formazione e di tracciare l’evoluzione di ciascun manutentore;
  • l’analisi dei dati per identificare le problematiche tecniche e gestionali che generano guasti e quelle che generano perdite di produzione in termini di efficienza e/o qualità;
  • la generazione di diversi progetti di ottimizzazione, da portare avanti con l’applicazione degli strumenti più appropriati del TPM.

Per ciascun progetto di ottimizzazione tipicamente si procede con l’analisi approfondita dei dati provenienti da MES e CMMS, lo sviluppo dei deployment sotto forma di Analisi di Pareto (sfruttando il MES per misurare gli effetti di guasto e il CMMS per il reporting delle cause); l’individuazione degli effetti e delle cause principali; la scomposizione dei guasti con uno studio più dettagliato basato sugli strumenti del TPM, per l’individuazione delle cause alla radice e lo sviluppo di un piano di eliminazione completa e definitiva delle stesse; il controllo degli effetti nel tempo; l’estensione ad altri impianti.

È importante sottolineare che il pilastro PM non opera da solo. Di volta in volta, è necessario il coinvolgimento dei colleghi coinvolti in altri pilastri, principalmente il pilastro AM (Autonomous Maintenance), FI (Focused Improvement) e T&E (Training & Education). La figura mostra un esempio di stratificazione degli eventi in base alla tipologia di causa: si vede che ciascuna tipologia richiede il coinvolgimento di vari pilastri, che poi portano all’impiego di metodi specifici per il miglioramento. Solamente per i breakdowns si opera all’interno del pilastro PM, con strumenti come il breakdowns analysis sheet, i 5WHYs, il diagramma di Ishikawa.

Con l’applicazione di questi strumenti è divenuto evidente come le principali cause di perdite fossero dovute alla carenza di standard e di formazione. In figura sono mostrati alcuni risultati della creazione di standard di manutenzione, standard di lubrificazione e standard di cambio formato e pulizie.

Conclusioni

I risultati sono stati rilevanti. Dal 2013 ad oggi si è osservata la riduzione del KPI numero di failures (si ricorda che tale indicatore è comprensivo di short-stoppages, adjustments e breakdowns), con percentuali di riduzione di più del 50 % per il reparto Confezionamento e di circa il 20 % per il reparto Modellaggio.

Tra i KAIs, è da segnalare la crescita costante delle maintenance SOP e OPL negli anni, con un forte incremento dal 2015 al 2016 (5 volte tanto in un anno).

I risultati hanno dimostrato che il percorso seguito sta garantendo il successo sperato. L’introduzione del TPM, oltre all’investimento di tempo delle persone coinvolte, ha avuto un costo per i consulenti esterni, ma i risultati dimostrano che l’investimento ha prodotto un ritorno ben superiore ai costi.

Per certificare il progresso, ci si è posti l’obiettivo di far valutare il sistema attraverso il JIPM – Japanese Insitute of Planned Maintenance. Lindt ha così ottenuto l’Award for TPM Excellence, superando il primo assessment con 78 punti (per superare ‘l’esamè della commissione giapponese ne bastano 70): è la prima fabbrica del gruppo a ottenere questo risultato. Poiché sono cinque i livelli da raggiungere, e attualmente è stato superato il primo, l’obiettivo è di proseguire nella scalata.

 

Alessandro Cicero, Maintenance Manager, Lindt