Neutralità carbonica e manutenzione

L’obiettivo UE di raggiungere la neutralità carbonica nel 2050 ci impegnerà a fondo nel cambiare le nostre abitudini, anche i metodi della manutenzione

  • Giugno 15, 2022
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    Neutralità carbonica e manutenzione

La dead line del 2050 appare quanto mai lontana, ma nel 2030 è previsto il raggiungimento di una riduzione del 60% delle emissioni e questa data è assai più vicina. Solo otto anni ci separano, ma, nel frattempo, la pandemia, che pare appena risolta, e la guerra in Ucraina stanno creando non pochi ostacoli.

Un obiettivo grandioso

Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ha dichiarato che il Green New Deal europeo sarà per l’Europa "come lo sbarco dell'uomo sulla Luna".
Il focus di questo mese di M&AM è dedicato alla gestione degli Asset. Il valore degli asset sarà uno dei primi a crollare sotto i colpi dei Green New Deal europeo e cinese. Jeremy Rifkin che ha collaborato ad entrambi stima in 100.000 miliardi di dollari, il deprezzamento degli asset collegati alla estrazione, trasporto e distribuzione degli idrocarburi (Jeremy Rifkin, Un Green New Deal globale: Il crollo della civiltà dei combustibili fossili entro il 2028 e l'audace piano economico per salvare la terra, Mondadori, 2019).

La questione non è di poco conto ed è probabilmente il motore delle recenti speculazioni sul prezzo del gas (+800% e oltre) che ha avuto un impatto devastante anche sul prezzo della energia elettrica, perlomeno in Italia. Sono i colpi di coda di un sistema che vede il futuro con apprensione? Non sta a noi approfondire questa tematica, però è evidente che se da un lato è in gioco il valore di investimenti pluriennali nei settori primari di molti paesi, da un altro lato sul piano del lavoro la neutralità carbonica comporta delle trasformazioni forse ancora più rivoluzionarie.

La rivoluzione interesserà non poche grandi aziende ma milioni di cittadini. Una parte non marginale dell’impatto sui lavori futuri riguarda la manutenzione. Argomento sul quale siamo più volte intervenuti sulle pagine della nostra rubrica.

Nel numero di gennaio abbiamo affrontato l’argomento Green New Deal dal punto di vista dei cittadini, i quali dovranno fare investimenti in capitale fisso in ragione dell’1% annuo sul valore dei beni, per adeguare le proprie abitazioni, trasporti, energia agli obiettivi che ci siamo dati in Italia e in Europa per raggiungere la neutralità carbonica.

L’impatto sul lavoro del Green New Deal sarà ancora più impegnativo perché richiederà di attuare una volta per tutte ciò che Aldo Bonomi ci suggerisce da anni. Ossia abbandonare i lavori che non sono più redditizi e utili per la società (il non più di Bonomi) e avviare quei lavori che ci permetteranno di uscire dal guado della transizione ecologica e tecnologica per arrivare a tutti gli effetti a raggiungere la neutralità carbonica (il non ancora di Bonomi).

I giovani di oggi, gli adulti di domani, sono in forte crisi per il lavoro, secondo Gallup solo il 10% in Europa e il 5% in Italia è soddisfatto del proprio lavoro e la rivoluzione non è ancora iniziata.

Il fatto è che il percorso è tutt’altro che lineare. A complicare le cose oltre al fatto che non abbiamo contezza, se non sommariamente, delle professioni e dei programmi formativi necessari ad arrivare alle nuove e più utili attività lavorative, ci sono diversi “incidenti di percorso” che distraggono le risorse inizialmente destinate a questo scopo.

La maggiore iattura che ci è capitata di recente è la pandemia. Tant’è che il piano inizialmente indicato pomposamente come Next Generation Green New Deal, ora è stato reindirizzato verso la ripresa economica post Covid, indicato in Italia come un più modesto Piano di Ripresa e Resilienza, pur mantenendo intatti gli obiettivi legati alla transizione energetica e tecnologica.

Assisteremo pertanto a una rivoluzione tecnologica, scientifica e sociale che durerà come minimo 15-20 anni sulla quale non abbiamo nessuna esperienza e la cui evoluzione rappresenta una grande incognita.

L’industria avrà un ruolo importante in questa rivoluzione e la manutenzione da sempre battistrada dell’innovazione tecnologica, subirà notevolissime trasformazioni alle tecnologie sottostanti e conseguentemente ai metodi e alle pratiche operative.

Ciò si traduce nella necessità di individuare i fabbisogni formativi che sosterranno queste trasformazioni da realizzare in tempo utile affinché le imprese possano prosperare nel nuovo contesto finalizzato a superare la crisi climatica. Il rischio per le imprese è di non trovare le risorse con adeguate competenze per reggere la domanda di nuove manutenzioni che si verrà a creare.

Il domani della manutenzione

All’inizio dell’anno, nella nostra rubrica, avevamo già affrontato la questione osservando la filiera del settore Automotive che sarà terremotato nel processo e nel prodotto dal motore elettrico e dall’idrogeno, ma a veder bene tutti i settori industriali saranno coinvolti e con essi la manutenzione.

L’amico Joel Leonard ha segnalato una ventina di anni fa il rischio corso dall’industria USA a causa dei manutentori in odore di pensione e dei loro rincalzi non adeguatamente formati da una scuola che ha privilegiato i licei agli istituti tecnici (Joel Leonard, Maintenance Crisis, 2002). Stesso problema occorso anche in Italia, che solo oggi lentamente è in via di recupero con gli Istituti Tecnici Tecnologici in prima fila ad offrire corsi per le nuove professioni manutentive: dal meccatronico, al robotico, all’elettronico, all’informatica di processo. E allora non era in atto una rivoluzione, si trattava di semplice turn-over del personale tecnico.

Domani sarà molto più dura. Perché in un mercato industriale che nell’ultimo decennio ha visto affermarsi l’industria 4.0 non è stato difficile individuare le nuove professioni manutentive da inserire nei programmi scolastici, si trattava più che altro di nobilitare il settore.

Il domani della manutenzione è invece un grosso punto interrogativo. Da un lato non sono chiari i percorsi da seguire per una transizione ecologica ed energetica che metta la parola fine alla catastrofe climatica. Da un altro lato le tecnologie sottostanti sono lontane dall’essere mature e ciò aumenta l’incertezza sulle tecniche e sui fabbisogni formativi conseguenti.

Al momento possiamo solo accendere i riflettori e mettere attenzione al problema dato che noi manutentori abbiamo delle grosse responsabilità.

Nessun sistema antropico può sopravvivere e funzionare se non sono predisposti e realizzati convenientemente i programmi e i metodi di manutenzione.

Nulla può resistere all’usura del tempo che sia parte del mondo naturale o antropico. Ciascun sistema fisico ha bisogno di una adeguata manutenzione, unico baluardo contro l’avanzare inesorabile dell’entropia. Per il manutentore è una gran bella responsabilità.

Maurizio Cattaneo Amministratore, Global Service & Maintenance