Organizzazione della manutenzione nella economia circolare

L’organizzazione delle fabbriche e della società un tempo si svolgeva in modo lineare e rigido ora invece c’è una transizione verso sistemi liquidi che richiedono una organizzazione mutevole e resiliente e poi ci sono molte altre variabili...

  • Gennaio 17, 2017
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    Organizzazione della manutenzione nella economia circolare

A mio parere siamo tutti d’accordo nel ritenere la produzione, l’economia e la società, ossia l’attuale momento storico ben diverso da quel che era o è stato negli ultimi trenta-quaranta anni.

Sacche di resistenza e di conservazione rimangono, basta vedere le dinamiche scatenate dal recente referendum costituzionale, ma penso che i più condividano l’essere in una terra di mezzo, o se preferite in un mare aperto dove non sappiamo quando, se e come arriveremo ad un porto.

La fraseologia sembra indicare molte parole nuove come Fabbrica 4.0, Quarta Rivoluzione Industriale, Produzione Digitale, Economia Circolare, Smart Land e Smart Grid, Globalizzazione, e via di questo passo, locuzioni dove fatichiamo spesso a trovare un nesso fra loro, e ancora di più un nesso con la Manutenzione.

Nella fabbrica fordista e negli agglomerati urbani, la Manutenzione era incardinata in schemi piuttosto rigidi, come rigida e lineare era la produzione incentrata sugli schemi della qualità e della logistica, caratteristiche entrambe mirate al prodotto.

Al più si distingueva la Manutenzione nell’industria primaria e di processo, più prevedibile e schematica, dalla Manutenzione nell’industria manifatturiera, più legata alla fenomenologia del guasto e successivamente alla migliorativa (Furlanetto et alt., Manuale della Manutenzione, 1974).

Le problematiche manutentive del vastissimo settore civile o del costruito, si delinearono dieci anni più tardi soprattutto ad opera di Giovanni Ferracuti (Ferracuti, Tempo Qualità e Manutenzione, 1982-1992 ), di Renzo Piano e di Gianfranco Dioguardi. Culminate con il convegno Aiman-Censis del 1987 (AAVV, Produrre non Basta, 1988) e nel lavoro di numerose università italiane.

L’organizzazione ha vissuto fino a pochi anni fa con queste tre variabili: processo, manifatturiero e costruito, declinata in diversi modelli di management.

Nella società attuale sempre più orientata al processo piuttosto che al prodotto, la Manutenzione diviene mutevole in un panorama tecnologico e sociale in continua trasformazione e così la sua organizzazione, che oggi non può ignorare, come fece in passato, i tempi e le velocità del cambiamento.

La realizzazione di un piano è sempre più difficile, ma nemmeno ci si può rifugiare in una comoda Adhocrazia perché la risposta allo stress deve essere efficace, ossia l’organizzazione deve dimostrarsi resiliente.

Un valore importante in questa organizzazione è il sapere manutentivo, diffuso e condiviso, che le aziende possono utilizzare per aumentare la propria competitività, che trova poi una sintesi nel Manutentore-Ingegnere (sul quale abbiamo riferito di recente nella rivista).

Con una struttura piatta dove i Manutentori sono adeguatamente formati e autonomi e il controllo della spesa viene adeguato continuamente da un sistema computerizzato sulla base delle criticità, è possibile coniugare risposte rapide con l’efficacia.

Perlomeno in una fase di transizione prima che si realizzi compiutamente una economia circolare.

Nella Economia Circolare, l’impresa dovrà trasformare parte dei suo scarti in materie prime seconde, l’attività produttiva dovrà essere in gran parte a “circuito chiuso” e non sarà così semplice disfarsi delle vecchie macchine.

Da un lato ciò significa rivedere i criteri di progettazione dei beni di consumo nella direzione della sostenibilità e del recupero a fine vita. Ma da un altro lato il pallino è nelle mani della Manutenzione.

Il tasso di obsolescenza della meccanica e sistemi derivati è già oggi piuttosto bassa e lo sarà ancor più in futuro grazie a migliori materiali e progettazioni ad hoc, che permetteranno il riposizionamento dei componenti in nuovi sistemi e destinati a nuovi scopi senza produrre alcun rifiuto.

Mentre modificare software e sistemi di controllo, già oggi è una pratica dove il riuso è altissimo e non si produce alcuno scarto. Si può ridare vita così a del macchinario altrimenti obsoleto e, oggi, rottamato.

La cultura della riparazione sta tornando in auge dopo decenni di consumismo e di usa e getta. Basta vedere il successo che hanno siti come IFixIt (https://it.ifixit.com/), cui si può semplicemente accedere o partecipare attivamente che contiene al suo interno circa 25.000 manuali, 93.000 soluzioni di riparazione e 7.000 dispositivi.

Il suo incipit: “Esercita il tuo diritto a riparare, IFixIt è una comunità globale di persone che si aiutano l’un l’altro a riparare cose. Aggiustiamo il mondo, un dispositivo alla volta”. Con tanto di Manifesto della Riparazione, che “riporta queste verità che sono auto evidenti …”, e sostiene “Se non puoi ripararlo non lo puoi possedere”.

Per non parlare dei FabLab, diffusi da qualche anno anche in Italia, dove si insegna a progettare, riparare, prototipare, produrre, intraprendere, creare startup innovative, in una logica di condivisione e riuso dei materiali, con software, progetti, documentazione, in gran parte soggetti a licenze Creative Common.

L’organizzazione di questa Manutenzione che sarà in grado di erogare servizi così diversi fra loro, non è semplice, si dovrà parlare al plurale di Organizzazioni, come elemento traccia della azione manutentiva, che sarà declinata in modi molto diversi in relazione al contesto, in strutture che privilegeranno sempre più l’immateriale rispetto al materiale, dove “il digitale è istantaneo e nello stesso istante in cui avviene misura se stesso, si auto valuta, si ricalibra” (Bonomi, La Società Circolare, 2016).

D’altro canto, tutti i paesi del mondo sono impegnati a creare economie sostenibili, a ridurre l’inquinamento, a limitare il consumo delle risorse, specie quelle non rinnovabili.

“È necessario introdurre il concetto del limite”, come ebbe a scrivere Donella Meadows del MIT oltre quarant’anni fa (Meadows et alt., I limiti dello sviluppo, 1972).

Donella, scomparsa prematuramente il 20 febbraio del 2001, a soli 59 anni, intuì molto bene dove saremmo arrivati oggi, è sua anche la soluzione proposta e, come Manutenzione, ci riguarda molto da vicino: “la cultura del mantenimento è l’unica alternativa allo sviluppo incontrollato delle attività produttive che porterà al disastro l’umanità”.

Una buona base di partenza per impiantare una organizzazione manutentiva.

Maurizio Cattaneo, Amministratore Unico Global Service & Maintenance