Progetto e realizzazione di un nuovo modello organizzativo della manutenzione

La roadmap per avviare uno stabilimento produttivo, tutti gli step e le decisioni prese per uno sviluppo efficiente e sostenibile del reparto tecnico. Lo raccontano, attraverso un’intervista, Carlo Forchia, Plant Manager, e Roberto Fenocchio, Technical

  • Marzo 28, 2022
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  • Carlo Forchia, Plant Manager, Cèrèlia
    Carlo Forchia, Plant Manager, Cèrèlia
  • Roberto Fenocchio, Technical Area Manager, Cèrèlia
    Roberto Fenocchio, Technical Area Manager, Cèrèlia
  • Progetto e realizzazione di un nuovo modello organizzativo della manutenzione
    Progetto e realizzazione di un nuovo modello organizzativo della manutenzione
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    Progetto e realizzazione di un nuovo modello organizzativo della manutenzione

Capita, nella vita professionale di un Manager di Manutenzione, di dover creare un modello organizzativo della Manutenzione partendo da zero. Capita quindi di dover pensare alle interazioni con le altre funzioni, la Produzione, la Logistica, la Sicurezza, o di sperimentare nuovi modelli relazionali tra le varie figure coinvolte. La costruzione di una organizzazione, però, proprio per la presenza delle risorse umane, non può essere realizzata come processo deterministico, quindi, non esiste la certezza del risultato.

In questi decenni siamo stati testimoni di tanti tentativi di dare organicità e standardizzazione ai modelli organizzativi proposti, quasi tutti di origine giapponese e praticamente quasi tutti hanno finito col mostrare carenze e deficit.

Costruire un modello organizzativo è quindi una avventura e, come ogni avventura, comporta una serie di rischi, ma anche tanta adrenalina. Ne parliamo con l’ingegner Carlo Forchia, Plant Manager di Cèrèlia e con il suo collaboratore, ingegner Roberto Fenocchio, Technical Area Manager.

Francesco Gittarelli, Consigliere A.I.MAN.

Ingegner Carlo Forchia, le è stata offerta una opportunità unica: guidare l’avviamento di uno stabilimento produttivo e definirne la roadmap tecnico-organizzativa. Quali sono i passi che ha dovuto  seguire, quali gli ostacoli e quali i vantaggi emersi?

 

Sono stato contattato dalla Cèrèlia, leader mondiale di impasti freschi, presente nel mercato italiano con posizione predominante nel mondo delle privat lable, che aveva da poco aperto uno stabilimento in Italia.
Per tanti anni ho lavorato in multinazionali del food & beverage, sempre nel manufacturing in diversi ruoli, dal miglioramento continuo alla produzione, dall’ingegneria all’innovazione, ma il ruolo che più mi ha dato soddisfazioni e nel quale più mi rispecchio è di sicuro quello di responsabile di manutenzione.
Come molti giovani manager di manutenzione inseriti in contesti complessi e strutturati, mi sono chiesto più e più volte quale sia stata la genesi di quella specifica organizzazione in cui lavoravo, perché e come si è arrivati a quel tipo di struttura e quali sono stati i presupposti e le condizioni che hanno favorito nel bene e nel male quello specifico sviluppo.

All’inizio di questa esperienza in Cèrèlia mi sono però ritrovato a dover scrivere in prima persona la storia dell’organizzazione tecnica della nostra realtà produttiva, e allora sono riaffiorati tutti i ricordi delle diverse organizzazioni manutentive vissute direttamente e indirettamente, dei processi vincenti e di quelli non efficienti, delle dinamiche relazionali con gli altri reparti, e soprattutto quella sensazione di essere sempre in secondo piano rispetto ad altri reparti, quali quello produttivo, quella percezione che la manutenzione sia considerata per lo più come un costo e non come un asset fondamentale per lo sviluppo. Cèrèlia però considera la manutenzione come un asset fondamentale, motivo per cui ho avuto la possibilità di investire nella costruzione del team.

Nei primi anni del XXI secolo, si è tanto parlato, specialmente nel mondo delle multinazionali, del concetto di “operation”: un unico responsabile, un operation manager, a capo della produzione e della manutenzione. Si è anche spesso spinto affinché produzione e manutenzione si integrassero in un unico dipartimento, con un unico manager e con operatori tecnici specializzati e polivalenti in grado di intervenire sui guasti e di condurre i macchinari. Si è però per anni confuso il concetto di lean, traducendo in maniera maldestra la metodologia madre di tutte le discipline di miglioramento continuo in una opportunità per la riduzione diretta dei costi indiretti mediante riorganizzazioni aziendali, snellimento dei ruoli manageriali e a volte dei livelli considerati ridondanti. Dopo anni alla guida dei reparti di manutenzione in diversi contesti, posso dire con certezza che non esiste il modello organizzativo perfetto. Non esiste quella formula magica che applicata ovunque porta sempre il risultato atteso, ovvero la massima efficienza degli impianti al minor costo operativo.

Quali sono le condizioni che possono portare al fallimento di un modello organizzativo?

Il modello precedentemente descritto, un unico reparto tecnico-produttivo, è oggettivamente un modello vincente ed efficiente, ma esclusivamente se applicato in contesti maturi e adeguati ad accogliere questa tipologia di organizzazione, con persone opportunamente formate, competenti e motivate. Lo stesso modello, con la creazione della figura del “polivalente”, può invece tradursi in un totale fallimento se applicato in contesti non pronti da un punto di vista di competenze, o in contesti molto complessi in termini di impianti e processi. Per poter, da un lato, favorire questa tipologia di riorganizzazione (che ripeto, sono sicuramente convinto sia vincente se applicata nel contesto giusto) ma anche, allo stesso tempo, poter colmare la carenza di competenze necessarie, spesso molte organizzazioni hanno adottato, con risultati discutibili, un ibrido, un minotauro organizzativo, con i manutentori che riportavano ai capiturno, che però non avevano le competenze tecniche necessarie per poter gestire quei profili specializzati. Questo tipo di organizzazione ibrida può di sicuro avere un senso se inserito all’interno di un percorso parallelo di sviluppo competenze e se attutato con le giuste tempistiche, ma non può di certo essere un modello di per sé applicabile in qualsiasi organizzazione e né tantomeno può considerarsi come un modello definitivo, ma solo come percorso transitorio di sviluppo organizzativo.

Proprio alla luce di queste considerazioni, una volta iniziata l’avventura in Cèrèlia presso lo stabilimento produttivo di Rivoli (TO), la prima cosa che abbiamo fatto è stata la definizione della roadmap con la definizione degli obiettivi di crescita per il quinquennio seguente, e con la pianificazione degli investimenti necessari. Solo dopo, una volta chiare le ambizioni e una volta definiti gli step di sviluppo tecnologico, abbiamo creato l’organigramma dello stabilimento.

Una realtà aziendale appena avviata, con una agenda di investimenti piuttosto intensa, non poteva prescindere dalla creazione del reparto tecnico, separato dal reparto produttivo. È così che il primo manager inserito in azienda è stato proprio il “Technical Area Manager”, responsabile della manutenzione e dell’ingegneria. Ho avuto la fortuna di conoscere e di assumere in questo ruolo l’ing. Roberto Fenocchio, un giovane manager con una valida esperienza pregressa alle spalle in ambienti strutturati e complessi, con il quale abbiamo disegnato l’organizzazione della manutenzione. L’ing. Fenocchio spiegherà nel dettaglio quali sono stati gli step e le decisioni prese per uno sviluppo efficiente e sostenibile del reparto tecnico.

La creazione del reparto tecnico, separato dalla produzione, ha però il rischio intrinseco dello scollamento dalla realtà produttiva. Per evitare che questo possa accadere fondamentali saranno – e sono state – le dinamiche relazionali con il reparto produttivo, con la definizione di incontri dedicati tra i due reparti, condivisione aperta e trasparente delle problematiche e delle difficoltà, indicatori di performance definiti e soprattutto definizione condivisa dei limiti operativi. La parte più complicata è proprio quella della gestione delle aree grigie, di quelle attività che sono a metà tra la produzione e la manutenzione. Penso alle regolazioni, ai cambi formato, alle attività di manutenzione autonoma. L’unica formula vincente è la creazione dei programmi di sviluppo degli operatori e dei manutentori fatta dai due manager dei reparti di manutenzione e di produzione, che veda nel tempo la definizione di quali attività dovranno essere gestite dagli operatori e quali quelle che dovranno rimanere all’interno dell’area tecnica.

So che questa non sarà l’organizzazione dello stabilimento di Cèrèlia Rivoli per sempre, ma sono sicuro che si tratta della organizzazione migliore in questo contesto storico.

Ingegner Roberto Fenocchio, in una organizzazione convivono diverse figure professionali con ruoli e responsabilità specifiche, dal Manager all’ Operatore di Produzione. Figure che necessitano di nuove competenze per meglio adattarsi al nuovo modello organizzativo. Come avete gestito le problematiche legate allo sviluppo delle competenze in manutenzione?

Una volta definita la roadmap quinquennale tenendo conto di investimenti, vision e aspettative del gruppo, abbiamo disegnato la struttura del team che fosse in grado di dare seguito a quanto definito su carta. Il reparto tecnico in Cèrèlia Rivoli rappresenta la Sicurezza, la Manutenzione e l’Engineering. La sicurezza per Cèrèlia è una priorità come la qualità, richiede quindi un dispendio di energie considerevoli; la manutenzione, come in tutte le realtà, ha un contributo chiave nel supporto delle altre funzioni, e l’engineering, in questo momento storico a Rivoli, deve portare avanti numerosi progetti per garantire la crescita dello stabilimento appena avviato, rispettando il business case sul quale si basa l’avvio di uno stabilimento in Italia.

Quando mi sono trovato alla definizione e creazione del team di manutenzione, mi sono affidato alle mie esperienze precedenti, unendole a quelle di Maintenance Mananger dell’ing. Forchia, adattandole al nuovo contesto creato. Il team è stato costruito tenendo conto dei punti di forza e delle debolezze – migliorate – dei modelli precedenti.

Avviare uno stabilimento richiede delle esigenze specifiche dal momento che tutte le competenze sono da creare da zero: dall’operatore di linea al manutentore, passando per tutte le funzioni operative. Personalmente, ho sempre creduto nella necessità di creare una forte sinergia tra i vari reparti, specialmente con quello produttivo, essendo il primo cliente della manutenzione. Troppe volte, anche se venivano costruiti modelli basati su un unico reparto operations, manutenzione e produzione diventano due silos differenti al punto che si poteva avere la sensazione di lavorare per due differenti aziende. Per primi devono essere i manager a facilitare “l’unione”; ma noi manager ogni giorno abbiamo numerose tasks da affrontare e non potendo quindi essere interpreti in campo di questo, la collaborazione dei due reparti, a mio avviso, è in mano al middle managment, che deve essere composto da personale proattivo, dinamico, con buone capacità di leadership e deve essere incluso in modo costruttivo nei piani di sviluppo aziendali per non creare lo staccamento tra layers organizzativi.

Nell’avviamento dello stabilimento in questione, la prima figura del team di manutenzione inserita è stato il coordinatore della manutenzione. A mio modo di vedere, l’organizzatore è un ruolo strategico per la manutenzione, rappresenta il punto triplo che mantiene legate la manutenzione e la produzione a livello operativo, ed è colui che permette a me, manager, di evitare distaccamento di cui sopra con tecnici di manutenzione. Il coordinatore ha numerose attività da svolgere a partire dall’organizzazione dei turni di lavoro dei manutentori, la pianificazione dei lavori, le necessità di ricambi, la crescita professionale dei tecnici di manutenzione, l’interfaccia con le ditte sterne, la coordinazione della manutenzione preventiva e, punto cruciale, i rapporti con la produzione.

Proprio nei rapporti con la produzione si può individuare uno delle capacità basilari del coordinatore di manutenzione; in questa “attività” sono necessarie sia hard che soft skills. Le hard skills sono le competenze tecniche: sapere determinare tempistiche di intervento, definire le gravità di anomalie e quando compete ad una figura tecnica intervenire su macchinari di produzione. Le soft skills in questo caso determinano la piena riuscita del ruolo: deve essere in grado di comunicare in modo dettagliato ma “comprensibile” con i responsabili del turno, deve mantenere la leadership tecnica, individuare le lacune di formazione sul personale di produzione e supportare i capi turno e il miglioramento continuo a colmarle. Forte aiuto alla crescita congiunta dei due reparti di Produzione e Manutenzione sono le governance, la più importane nella nostra realtà è il “Punto Tecnico”, meeting di 90 minuti con Produzione, Miglioramento continuo e Manutenzione in cui si rivedono i risultati della settimana precedente, le problematiche e si definiscono le azioni di medio lungo periodo per il mantenimento delle performance a cui il coordinatore non può certo mancare.

Nella definizione dei tecnici siamo partiti da un’analisi sull’organizzazione della produzione. Lavoriamo su 3 turni e, facendo un benchmark con strutture simili alla nostra, quindi analizzando gli altri stabilimenti produttivi del gruppo, abbiamo definito la necessità di 2 manutentori per turno. I tecnici lavorano prevalentemente sui turni a eccezione del coordinatore. In base a stagionalità e necessità di svolgere manutenzioni programmate, i turnisti vengono attivati sull’orario giornaliero. Analizzando la tipologia e complessità dei macchinari di produzione, abbiamo optato per inserire figure meccatroniche, evitando di assegnare ai tecnici un’etichetta di meccanico piuttosto che elettrico ma rendendo la squadra omogenea. Questa scelta ci fa rinunciare ad alcune competenze molto specifiche, come quelle elettroniche di livello avanzato o meccaniche di precisione, che possono essere sopperite con l’ausilio di teleassistenza o con fornitori esterni. La matrice delle competenze prevista è all’incirca simile per tutti i manutentori, salvo alcuni inserimenti mirati di tecnici con maggiore esperienza in determinate applicazione (nel caso specifico conoscenza PLC) che possa aiutare il coordinatore a fare crescere tutto il team mediante training on the job. Fondamentale rimane, a mio modo di vedere, il piano formativo che spazia da nozioni base come la saldatura alle formazioni sul PLC per la ricerca guasto, passando per i principi di funzionamento di un impianto frigo in modo da fornire le nozioni standard sugli impianti, sia produttivi che delle utilities presenti nello stabilimento. La ricerca del personale è stata e continua a essere una vera sfida; trovare talenti oggi giorno si rende sempre più complicato in un mercato molto attivo ed esigente; ritengo che un buon mix di personale con esperienza e personale da formare possa essere una carta vincente, si investe su una generazione di futuri tecnici che possa garantire continuità allo stabilimento appassionandosi a un lavoro impegnativo ma in grado di fornire soddisfazioni personali e professionali. Seppur il mondo didattico si sia evoluto verso la professionalizzazione di alcune figure, mediante l’alternanza scuola-lavoro piuttosto che tirocini professionalizzanti, ritengo che la formazione di un profilo junior rimanga per un’azienda un investimento di medio periodo e ci metta sempre davanti a una scelta critica tra la famigerata gallina oggi o l’uovo domani.

Nel progetto della organizzazione della manutenzione, è parte fondamentale la strutturazione dei processi operativi (correttiva e preventiva). Quale percorso avete seguito per definirne le attività?

Per quanto riguarda i lavori di manutenzione, si è cercato di strutturare le attività in modo sostenibile e redditivo. Priorità è stata data alle utilities i frigoriferi, compressori, impianti idraulici e termici sono stati assegnati a contractors mediante contratti di manutenzione, questo per garantirci business continuity e rispetto degli standard qualitativi. Per gli impianti di produzione è stato individuato un classico piano di manutenzione preventiva. Il piano è stato costruito a partire dai manuali delle macchine e non avendo uno storico dei guasti è oggetto di continua revisione e aggiornamenti per renderlo taylor made come deve essere un piano di manutenzione preventiva. La maggior parte delle attività sono di tipo CBM (condition based maintenance) e alcune TBM (time based maintenance). Stiamo valutando attività di manutenzione predittiva per i macchinari critici che pensiamo di attivare nel prossimo anno.

Tutto questo è quanto fatto in poco più di un anno di lavoro. Ogni giorno le sfide cambiano e i piani devono essere rimodulati sui nuovi target. Reputo al momento che un team snello ed elastico sia un vantaggio nell’affrontare le sfide future in una realtà con una forte crescita anche in termini tecnologici.