Riflessione intimista sulla Storia e sul Futuro della Manutenzione

Per far evolvere la Manutenzione serve un approccio bilanciato in cui i diversi portatori di interesse nella catena del valore possano essere coinvolti per contribuire alla cultura di Manutenzione

  • Novembre 16, 2018
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    Riflessione intimista sulla Storia e sul Futuro della Manutenzione

Questo editoriale potrebbe essere inteso dal lettore come seguito delle riflessioni già portate nei più recenti editoriali di direzione, a firma di Bruno Sasso e del sottoscritto. È an­che così, ma è non solamente questo il motivo che mi muove a scrivere. Chi mi ha stimolato, come un’ispirazione inattesa per questa riflessione di fine anno, è un amico. È un amico che non vedevo da anni, ritirato da tempo dal mondo del lavoro, e con il quale ho avuto il piacere, e la fortuna, di aver condiviso i primi passi della mia professione in manutenzione.La riflessione, che porto in questo editoriale, arriva anzitutto grazie alle sue conside­razioni, prima come uomo e poi, anche, come in­gegnere di manutenzione che lavorava in un’epoca nella quale la manutenzione, in Italia, doveva anco­ra affrancarsi da retaggi del passato che la pone­vano in una posizione subalterna rispetto ad altre funzioni aziendali. Non nominerò mai il mio amico, volutamente. Ciò nondimeno, utilizzerò alcuni suoi pensieri per condividerli con il lettore.

Il mio amico era uno dei protagonisti dello svec­chiamento del concetto di manutenzione, essendo parte di quel gruppo di persone che ne anticipava il futuro. In quel gruppo, ci sono due persone che nominerò e che contribuirono fortemente allo svi­luppo della manutenzione, stimolandone il cambia­mento da essere funzione tecnica a divenire fun­zione capace di una gestione ingegnerizzata.

Senza dubbio, il primo che voglio ricordare è Luciano Furlanetto, past president A.I.MAN.. Io, da giovane che si avvicinava al mondo della manutenzione, presi in mano il suo “Manua­le di Manutenzione degli Impianti Industriali e Servizi”. Luciano ne fu curatore. Ancora oggi un distillato di conoscenza di assoluto valore, è stato scritto con la collaborazione di una serie di pro­fessionisti che Luciano coordinò con una visione chiara e saggia portando così ad un fondamento per la cultura di manutenzione in Italia, rinfrescata con una visione di natura ingegneristica che an­dava oltre la pratica industriale del tempo. Al di là di apprezzarne la fattura come scritto, posso dire di aver potuto riscontrare, qualche anno dopo, l’impatto del Manuale sulla crescita della cultura manutentiva, un primo elemento importante da tenere in considerazione – e non dimenticare – ai tempi odierni.

Ebbene, perché ricordare il Manuale di Lucia­no? L’amico, che ha ispirato questo editoria­le, ha portato alla mia attenzione – caso mai fosse necessario – l’importanza di persone, come Luciano, che hanno saputo guardare al Futuro della Manutenzione in un’epoca non facile (ndr: Futuro e Manutenzione in maiusco­lo), epoca in cui la Manutenzione doveva sdoga­narsi dall’essere un costo, un male necessario, un’attività per tecnici / specialistici, un lavoro da “sporchi, brutti e cattivi” (dirty job) e altri con­cetti di accezione negativa, chi più ne ha, più ne metta. Ho anche esagerato nel dipingere la Manutenzione; comunque, non penso di essere stato lontano dal vero: il mio amico mi ricorda­va che era proprio così, anche in molte grandi aziende, multinazionali, dove l’uomo di Manu­tenzione veniva chiamato e si palesava, magari manifestandosi da uno sgabuzzino angusto che era il suo ufficio, quando serviva perché c’era un guasto. Per metafora, qualcuno diceva che la Manutenzione era come un pompiere che spe­gneva fuochi.

Luciano Furlanetto portò una visione molto avanti per i tempi, non fu il solo. Grazie ancora a Luciano ci fu un’azione di appoggio, sia tecnica sia istitu­zionale (come A.I.MAN.), di quello che fu il primo insegnamento in Italia istituito, a livello di Corso di Laurea, su tematiche di “Gestione della Manuten­zione”. L’innovatore ed artefice di questo nuovo corso, presso la mia alma mater, il Politecnico di Milano, fu Marco Garetti, mio mentore, con il quale sono cresciuto. Ricordo la mia reazione quando, molto tempo prima di pensare a questo nuovo insegnamento, mi chiamò nel suo ufficio, in­formandomi del fatto che si era reso disponibile a curare le tematiche di Manutenzione, dopo qualche anno di vacanza nel Dipartimento a cui appartengo di un cultore della materia (per inciso, prima era il compianto Francesco Turco, altra persona che – assieme a Luciano Furlanetto – ha fatto molto per la cultura di Manutenzione). Con questa no­vità, mi consultò anche in merito alla mia disponi­bilità ad essere un giovane cultore della materia, naturalmente di supporto e assistenza al piano di attività che da lì a poco sarebbero arrivate. La mia reazione fu ispirata dalla percezione negativa già ricordata, di Manutenzione come dirty job. Pensai: io mi occupo di produzione, perché scendere (ab­bassarmi (?)) a studiare una funzione tanto subal­terna, che al massimo ripara? Pensiero certamen­te frutto della mia ingenua inesperienza…

Un’affermazione del mio amico ricorda l’importan­za di questo legame storico tra Luciano e Marco, tra mondo industriale e mondo accademico. Scrivo più o meno le parole espresse dal mio amico qual­che sera fa, a cena: “Sai Marco (ndr: si rivolgeva al sottoscritto), Luciano aveva una visione mol­to chiara, che precorreva i tempi. Con questa, ha preparato il terreno a quell’innovazione che avete portato voi, con forza (ndr: parlava a me, come universitario, ma non solo), con Marco (ndr: in tal caso Marco Garetti): avete saputo dare un’accelera­ta all’approccio di gestione ingegneristica del dato e della conoscenza di Manutenzione, per arrivare ad un modo davvero nuovo di pianificare, e non solo di fare manutenzione, pieno di contenuti tecnici e scientifici… quella è stata la vera innovazione…” (ci­tazione del mio amico*) … Il mio amico si riferiva ai primi anni Duemila...

Con il taglio intimista di questo scritto, posso rac­contare le mie reazioni a queste parole, un misto tra sorpresa e orgoglio… La sorpresa è prevalsa. Ripensandoci adesso, più a freddo, è evidente che all’epoca non ero per nulla consapevole di questa percezione industriale della nostra attività acca­demica, perché ero un neofita della Manutenzio­ne. Poi, se penso alla mia attitudine personale, io preferisco l’evoluzione alla rivoluzione, preferisco pensare ad una genetica che cambia progressiva­mente e si migliora, e non all’innovazione che, per metafora, è come se fosse l’innesto su un tessuto che rischia di non essere pronto / maturo ad ac­coglierla, e quindi causa rigetto.

Per questa mia attitudine, spostando ora il pensiero su ricadute pratiche, aggiungo qualche riflessione che, a partire dal passato, cerca di fare riflessioni sul Futuro della Manutenzione.

La Manutenzione cresce quando acquisisce competenze ed esperienze che la portano ad essere protagonista nel processo deci­sionale. Questa crescita deve essere organica, ben fondata su quanto acquisito attraverso le esperienze e la formazione di conoscenza nel passato (alias, la genetica cambia progressiva­mente, col tempo).

Nell’essere protagonista all’interno del pro­cesso decisionale, Manutenzione deve es­sere capace di crescere con una gestione adatta alle esigenze dei tempi odierni: deve essere capace di gestire il rischio operati­vo, e deve essere dinamica e adattativa alle condizioni correnti del processo industria­le. Con la gestione del rischio, Manutenzione combatte contro le incertezze che caratteriz­zano intrinsecamente il funzionamento degli impianti industriali, divenendo la “prima linea di difesa” di fronte ad eventi potenziali che pos­sono avere costi “nascosti” potenzialmente ben più alti di quanto si prevede a budget, come costi “visibili”. D’altra parte, avendo la capacità di adattarsi alle condizioni del processo indu­striale, Manutenzione è in grado di adeguare le azioni manutentive, e i propri piani, alla miglior conoscenza dei processi e degli asset indu­striali per cui è chiamata ad operare.

Questi sono gli ingredienti di una ricetta, che ri­tengo essenziali per il Futuro. Con questo, non ho fatto nient’altro che ribadire alcune considerazioni scritte con Bruno Sasso nell’ultimo editoriale. Ol­

tre all’aggiunta di alcune sfumature, la visione che sto adesso integrando, e che voglio sottolineare, è quella di una Manutenzione che è contributore, e protagonista, nel processo decisionale: porta sul tavolo informazioni di rischio, dinamicamente mi­surate e capaci di essere un elemento negoziale, da mettere in discussione con altri protagonisti del processo.

In tutto questo, servono anche gli “strumenti” di supporto alla decisione. Sono quelli che oggi offre lo stato dell’arte dovuto allo sviluppo tecnologico. Parliamo, nel linguaggio odierno, di Industria 4.0. Occorre, però, una particolare attenzione, a mio parere, a non mettere su un piedistallo l’Industria 4.0, come nuovo indirizzo per una idolatria spinta di diversi interessi… troppi… Io diffido di chi si ri­empie la bocca di Industria 4.0 per due motivi, di seguito discussi.

L’offerta del mercato delle tecnologie è molto ampia e, da esperienze di diversi end-user con cui ho potuto scambiare opinioni, posso affer­mare, con serenità, che non ci si può nascon­dere su un fatto: con l’hype dell’Industria 4.0, sono emersi non pochi apprendisti stregoni che cavalcano l’onda. Con questa afferma­zione, sono solo realista, e non voglio apparire come un reazionario. Anche da accademico, non solo da ingegnere industriale, so che le nuove tecnologie possono portare potenzial­mente molto di buono per abilitare nuovi pro­cessi, decisionali e operativi. D’altronde, pro­prio sulla base della storia, direi che chi ha la cultura di Manutenzione nelle sue corde saprà fare una proposta adatta alle esigenze; non ac­cadrà la stessa cosa, ne sono quasi certo, con chi si inventa esperto di Manutenzione dall’oggi al domani.

L’Industria 4.0 può rischiare di non es­sere un bene per l’azienda, quando mal gestita: si rischia, cioè, di fare un innesto su un tessuto non pronto, con conseguente crisi di rigetto. Mi spiego meglio. C’è tanta conoscenza nella cultura e nel processo manutentivo, e questa deve guidare nell’im­plementazione di nuove tecnologie (Internet of Things, Big data analytics, …): dimenticar­sene sarebbe un errore, pensando che le tecnologie da sé risolvano i problemi, ma­gicamente; al contrario, bisogna coinvolge­re Manutenzione nello sviluppo applicativo delle nuove tecnologie. Allargando lo spet­tro in generale ai processi industriali, quello che vedo spesso in questo momento storico è lo sviluppo di use cases che portano ad una spesa mondiale non indifferente – con termini altisonanti, si usa dire che si fanno Proof of Concepts (anche PoC). Qualcuno dovrebbe fare emergere le cifre di spesa (io le ho viste in alcuni contesti), ma non solo. Si dovrebbe imparare anche dagli insucces­si, raccontati in trasparenza. Ad esempio, una domanda quasi ovvia a riguardo è la se­guente: perché molte PoC non portano alla fase successiva di industrializzazione vera e propria? Essendo trasparenti, si potrebbe evitare il racconto della bella favoletta delle potenzialità dell’Industria 4.0, dopo buona cosmesi, ciò che a mio parere non porta gran valore aggiunto. Avere un insuccesso del genere in Manutenzione non è accetta­bile per varie ragioni, di spesa e non solo. Una ragione per me importante è addebita­bile alla gestione del cambiamento: quando la tecnologia si è giocata la sua credibilità, è dura convincersi a continuare…

Per concludere, credo che, per far evolvere la Manutenzione serva un approccio bilanciato in cui i diversi portatori di interesse nella catena del valore possano essere coinvolti per contri­buire alla cultura di Manutenzione. Nella catena del valore, ci metto di diritto, senza dubbio, l’U­niversità, anche sulla base delle parole del mio amico. Dimenticarla in qualche occasione non è il modo migliore per far co-evolvere la Manu­tenzione nelle sue competenze, nelle pratiche organizzative e gestionali, e nell’uso delle nuove tecnologie abilitanti.

*[Per dovere di cronaca: il mio amico ha rilet­to il mio editoriale, proprio per evitare che sue parole fossero da me state male interpretate e, quindi, travisate]