Videosorveglianza sul luogo di lavoro

Anche se il lavoratore presta il consenso per l’apposizione delle telecamere per la videosorveglianza, è comunque necessario ottenere l’autorizzazione del Sindacato o dell’Ispettorato del lavoro prima dell’installazione

  • Febbraio 3, 2020
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    Videosorveglianza sul luogo di lavoro

Con la recente sentenza n. 50919 del 2019, la Corte di Cassazione ha precisato come sia sempre e comunque necessario ottenere l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro competente o del Sindacato, qualora si installi un impianto di videosorveglianza sul luogo di lavoro.

Infatti, trattandosi di diritto alla privacy e di tutela di interessi collettivi e superindividuali, il legislatore preferisce sottrare tali garanzie alla libera e autonoma disposizione del singolo lavoratore, con ciò escludendo che sia sufficiente l’aver ottenuto a posteriori il consenso dei lavoratori anche se si tratti di singolo consenso scritto portato da ciascun interessato.

La Suprema Corte ha voluto tutelare il lavoratore e la sua posizione di soggezione, rimandando ad una interpretazione restrittiva dell’articolo 4 dello Statuto del Lavoratori (Legge 300/1970) che, dopo aver precisato la liceità del controllo a distanza dei lavoratori solo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, impone la necessità per il datore di lavoro di richiedere e ottenere l’assenso delle rappresentanze sindacali o comunque dell’Ispettorato del Lavoro per l’apposizione delle videocamere.

Detto orientamento tiene indubbiamente conto della indiscutibile forza economico – sociale del datore di lavoro rispetto a quella del lavoratore e di come il controllo a distanza dell’attività del lavoratore, produca di fatto l’oggettiva lesione di interessi collettivi.

La disuguaglianza tra le due posizioni potrebbe paradossalmente comportare una procedura interna dell’azienda che proponga di firmare all’atto di assunzione una dichiarazione con la quale il lavoratore accetta l’introduzione di qualsivoglia tecnologia di controllo; chiaro come in questo caso, l’assenso potrebbe essere viziato dal timore che in caso di rifiuto alla sottoscrizione, la conseguenza sarebbe la mancata assunzione.

Diventa necessario ottenere una tutela collettiva che vada oltre il singolo, pertanto solo gli organi preposti potranno valutare se vi sia un’idoneità a ledere la dignità dei dipendenti e se vi sia effettiva rispondenza degli impianti alle esigenze tecnico – produttive o di sicurezza dell’azienda.

Nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, il giorno successivo a quello in cui fu constatata la presenza dell’impianto di sorveglianza, il Datore di Lavoro aveva inviato all’Ispettorato competente una dichiarazione sottoscritta da tutti i dipendenti, in cui veniva dichiarato l’assenso di questi ultimi alla presenza di tale impianto.

Detto assenso, rimarca la Corte, vale solo ai fini dell’articolo 50 codice penale, che sancisce la non punibilità di chi lede o pone in pericolo un diritto altrui, qualora ne abbia ricevuto il consenso.

Pertanto, prima di apporre qualsiasi sistema di sorveglianza il Datore di Lavoro non avrà altra scelta che munirsi delle autorizzazioni richieste dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.

Chiaramente non è compresa, nell’ipotesi di cui sopra, la registrazione degli accessi e delle presenze del personale.

 

Avv. Stefania Perillo, Business Lawyer, Studio Legale Perillo