La tecnologia (non sempre) può risolvere tutti i problemi

Una riflessione sulla sostenibilità, a cura di Giuseppe Adriani - Coordinatore Regionale A.I.MAN. Toscana

  • Novembre 18, 2022
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    La tecnologia (non sempre) può risolvere tutti i problemi

La storia di noi umani è brevissima dal punto di vista geologico, il vero calendario con cui si misurano le trasformazioni della “casa” in cui tutte le specie animali e vegetali sono state ospitate. Il nostro cammino sulla Terra è quasi un battito di ciglia, tra gli assai lunghi sbadigli di forme di vita più durevoli, quali gli insetti (oltre il 50% della specie attuali) o gli stessi Dinosauri, che per diversi milioni di anni hanno calpestato il suolo del nostro globo. Lasciando tracce impressionanti a imperitura memoria di epoche geologiche in cui le chances di sopravvivenza di eventuali specie antropomorfe, prive di difese naturali (corazze, denti aguzzi…) sarebbero state pari a “0”!

Tra i vari meandri (molto spesso frustrati) della evoluzione, che non sempre procede in maniera rettilinea, è comparso un piccolo essere dotato di temperatura (e quindi metabolismo) quasi costante. Il primo “mammifero” che poteva sopravvivere in virtù di questa sua capacità di muoversi anche di notte, nei cunicoli o nei periodi freddi dell’anno. In condizioni ambientali che avrebbero inibito i colossali sauri del Giurassico. Col buio e il freddo i rettili languono, mentre i minuscoli roditori (topi e simili) scorrazzano e si aggregano in gruppi capaci di provvedere alla propria sopravvivenza, ed in particolare alla cura della prole... Da lì al pollice opponibile il passo è stato  relativamente breve.

Arnesi informi divennero quindi in mano nostra degli “strumenti” appena abbozzati che hanno implementato la naturale predisposizione a modificare il territorio circostante, colonizzato da noi sapiens. Modifiche dapprima transitorie (in quanto cacciatori/raccoglitori) divenute poi permanenti (agricoltori/pastori). Ma ciò che era cenere, cenere alla fine ritornava, in un ciclo fisiologico di animali consumatori (seppur di livello appena più strutturato) inseriti in un contesto naturale.

L’intelligenza insita in noi, ovvero la predisposizione a immaginare ciò che non esiste ancora, abbinando elementi eterogenei tra sé, ci ha consentito di abbattere barriere apparentemente insormontabili per dei bipedi deboli e alquanto goffi. I pesci scendevano in profondità o risalivano le correnti impetuose, gli uccelli attraversavano senza paura ampi tratti di mare o sorvolavano montagne scoscese. E noi “inabili” fisicamente abbiamo provato a immaginare tutto ciò nel corso dei secoli; fino a dotarci di strumenti tecnologici che ci hanno consentito di volare, immergersi, raggiungere perfino la Luna come anticipato da un fantastico viaggio di Verne!

Scienza e tecnologia sono neutre?

Il processo evolutivo di cui abbiamo fatto una sintesi, ovvero lo sviluppo di tecniche capaci di modificare l’habitat, procurandoci acqua e cibo, oltre alle infrastrutture indispensabili a una vita relativamente tranquilla si è sviluppato nell’arco di circa diecimila anni. E non in maniera omogenea a livello geografico. Alcune aree (per condizioni micro-climatiche/ambientali) sono state agevolate, altre hanno subito radicali trasformazioni a seguito (anche) di cataclismi, di cui rimane traccia nei “libri sacri” a cui le varie religioni monoteiste e non solo attingono per dare forza al proprio credo.

Il clima ha condizionato i progressi di certe civiltà; le cui radici comuni si ritrovano nell’attuale Medio Oriente, in alcune valli un tempo lussureggianti per l’apporto vitale di fiumi maestosi. L’acqua ha consentito gli insediamenti agricoli, la pastorizia e anche il trasporto di importanti carichi di cibo e materiali per costruzioni, da cui hanno preso forma le prime aree urbanizzate. Il recinto delle “bestie” a protezione dai predatori è divenuto in breve una cinta di pali o mattoni per rendere più sicura la vita dei non più nomadi che si rinchiudevano nella notte o in occasione di eventi particolari. Già perché il nomade cacciatore/raccoglitore non possiede tasche; forse ha una sorta di bisaccia in cui ripone il minimo indispensabile. Mentre il sedentario che utilizza le risorse del suolo accumula un qualcosa che in breve diviene “ricchezza”. Possono essere granaglie, schegge di Ossidiana, spilli di avorio…Che per una regola non scritta in prima battuta condivide solo con il suo clan. L’eccesso di beni può divenire oggetto di scambio; il baratto agevola i contatti tra genti altrimenti diffidenti. Questo “peccato originale” è il retaggio di chi ha perso la libertà o innocenza ed in cambio ha scelto la sicurezza per sé e la propria progenie.

I sociologi hanno esplorato tali percorsi culturali, in cui alla tradizione orale si è sostituito il linguaggio scritto, con la trasmissione di ricette e segreti dei primi processi metallurgici. Del resto, la tecnologia fine a sé stessa ha ben poco valore; per farla “rendere” va condivisa, seppur in maniera selettiva.

Ma nel mondo odierno il nostro imprinting primario (se non mitigato da un grande livello di studio e di comprensione dei fenomeni) è sempre quello dei nostri antenati cacciatori/raccoglitori. È quasi inevitabile di fronte a un “buffet” sontuoso tendere ad accumulare nel piatto (o nella pancia) molto di più di quanto sarebbe giusto e opportuno. Certi stimoli sono atavici; la fame una brutta faccenda! Altrettanto dicasi delle applicazioni molto sofisticate di tecniche di derivazione digitale; in assoluto sono precluse ai più, a meno che tali popolazioni non abbiano avuto tutti i necessari rudimenti e non facciano parte di quella stirpe informatizzata che si contrappone alla massa del cosiddetto “terzo mondo” privo di ben altre risorse, specie sociosanitarie. Se per di più abbiniamo la tecnica sofisticata alla finanza creativa rischiamo una deriva i cui traguardi possono portare a situazioni incontrollabili, in cui droni dotati di “A.I.” padroneggiata da un organismo acefalo ma solido, possono decidere in autonomia di uccidere potenziali nemici di una causa ignota, apparentemente nobile!

Forse proprio noi di A.I.MAN. dovremmo farci avanti con proposte di carattere culturale che diano il giusto peso al risvolto etico della tecnica il cui fine ultimo dovrebbe essere la migliore condizione di vita dell’uomo, manutentore e non.