Innovare i processi decisionali attraverso la gestione del ciclo di vita degli asset

Il cambiamento è in corso, ma siamo solo agli inizi

  • Marzo 10, 2017
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  • Innovare i processi decisionali attraverso la gestione del ciclo di vita degli asset
    Innovare i processi decisionali attraverso la gestione del ciclo di vita degli asset

L’editoriale del mese di febbraio si è basato su un excursus storico fatto per portare avanti una breve riflessione a riguardo dell’innovazione dei processi di manutenzione. In questo mese desidero continuare la riflessione guardando al presente e al futuro prossimo.

Un evento importante del recente passato è la pubblicazione della norma tecnica ISO5500X sull’Asset Management. La norma sancisce l’importanza di una nuova visione nel management, ed è sintesi del dibattito già in atto da diversi anni nella comunità tecnica e scientifica. Il dibattito non è ancora terminato. Partendo da alcuni aspetti fondanti, la gestione degli asset deve essere guidata dalla massimizzazione del valore generato dagli asset stessi lungo tutto il ciclo di vita. La definizione di valore non è univoca: trova diverse declinazioni nei settori industriali. Tuttavia, esistono principi comuni a cui la gestione può far riferimento. Un principio essenziale è il riconoscimento dei diversi portatori di interesse – stakeholders –, che hanno un peso più o meno importante nell’influenzare le decisioni e la definizione stessa di valore. Il legame tra value e stakeholder è un concetto chiave alla base dell’innovazione del processo decisionale.

Ne consegue, anzitutto, la necessità di una maggiore capacità di valutazione d’impatto per misurare la generazione, piuttosto che la distruzione, del valore potenzialmente disponibile dall’asset, con il fine ultimo di guidare le decisioni. L’esigenza di sviluppare l’integrazione organizzativa tra le diverse funzioni, in coerenza con l’obiettivo di massimizzare il valore, è anche più forte: la visione a lungo termine – che è necessario avere per scelte coerenti di Asset Management – non può che nascere dal confronto di diverse professionalità che, per sinergia di conoscenze ed esperienze, oltreché per ruolo nell’organizzazione, svolgono una funzione importante nella determinazione delle decisioni richieste al momento del progetto o acquisto di un nuovo asset, e durante la sua vita operativa sino al momento in cui la vita potrebbe terminare – e quindi si deve decidere se effettivamente dismettere l’asset, piuttosto che adottare strategie di estensione della vita.

Non dovrebbe, quindi, essere la sola logica finanziaria a guidare le scelte. E’ necessario un approccio ingegneristico che permette un’analisi sistematica che porta ad identificare dove è necessario agire, secondo priorità basate sull’analisi di rischio, di performance e di costo. Secondo la norma, infatti, rischio, performance e costo sono i tre cardini per l’analisi e la decisione guidata dal valore. Pertanto, se il confronto organizzativo è necessario, esso non è però sufficiente. E’ essenziale istituzionalizzare nuovi processi decisionali come “dorsale” su cui inserire strumenti ingegneristici a supporto della decisione, come, ad esempio, il TCO (Total Cost of Ownership) e il TVO (Total Value of Ownership). TCO e TVO non sono ancora consolidati nelle pratiche aziendali e non sono, comunque, solo strumenti. Essendo, prima di tutto, dei metodi per analizzare le scelte e i loro impatti sulla vita dell’asset, TCO e TVO servono per orientare il pensiero organizzativo verso una visione di lungo termine, con una valutazione d’impatto sistemica fondata sulla funzione che l’asset ha per il sistema (di asset) nel portafoglio e nella struttura impiantistica.

La mancanza dei dati non può quindi essere un ostacolo. La mancanza può essere la scusa che porta a giustificare lo status quo dei processi decisionali: poche funzioni prendono scelte che hanno effetti sull’intero ciclo di vita dell’asset, per diversi anni; le “pezze” si mettono dopo, anche con buone pratiche – come quelle del miglioramento continuo –, comunque sempre tardive rispetto a quello che si sarebbe potuto fare lavorando sull’asset virtuale (un modello dell’asset) e non già su un fatto fisico (l’asset installato). Naturalmente, poi, ci si lamenta delle limitazioni sui budget a disposizione o delle scadenti performance di Overall Equipment Effectiveness (OEE), dimenticandosi che le scelte fatte a inizio vita sono già nella “genetica” dell’impianto che verrà installato e, quindi, ne influenzano budget e, financo, performance e rischi.

Ricordo il ben noto caso del disastro di Bophal (marzo 1984), ancora una volta per imparare dal passato. L’errore di manutenzione fu in realtà solamente la punta dell’iceberg di problemi di Asset Management ben più ampi. Diversi documenti sono disponibili in rete a riguardo di questo caso; per qualità divulgativa, suggerisco al lettore un video su Youtube dovuto ad un servizio di Historychannel (https://www.youtube.com/watch?v=UH5LPwdVnqI). A partire da questa terribile tragedia, il video offre una lezione profonda sull’Asset Management. Non l’unica. Se pensiamo al rischio (come detto, uno dei tre cardini del valore), oltre alla safety di ambiente e persone, è anche la perdita di opportunità di business ad essere un elemento da gestire secondo un’attenta valutazione.

La figura riportata in questo editoriale offre una breve sintesi dell’evoluzione storica dell’Asset Management nell’industria e nelle infrastrutture, con alcuni eventi di rilievo che sottolineano l’importanza del valore, per la sicurezza, la conservazione del patrimonio impiantistico e la qualità del servizio. Nella concezione attuale dell’Asset Management è quindi fondamentale un approccio evoluto alla gestione del valore (rischio, performance e costo): il miglioramento non è addebitabile alla sola vita operativa dell’asset, si migliora sin dall’inizio della vita; e questo è possibile grazie alle conoscenze e informazioni messe in sinergia con l’integrazione organizzativa, coinvolgendo stakeholders interni (diverse funzioni aziendali), ma anche esterni all’organizzazione (costruttori, fornitori di servizio, …). Cosa può fare la Manutenzione in questo nuovo contesto? E’ utile ricordare che la Manutenzione è una funzione di forte cultura tecnica, abituata – organizzativamente – al collegamento professionale trasversale, cioè ai rapporti funzionali che operano con la logica dei processi. Date queste premesse, la Manutenzione è un capitale di conoscenze ed esperienze ad elevato potenziale, che può assumere un ruolo importante anche nella gestione del ciclo di vita degli asset. D’altra parte, le aziende che guardano al futuro, con la volontà di garantire la massimizzazione del valore nel lungo termine, considerano la Manutenzione un capitale strategico.

E’ chiaro che il cambiamento è in corso, e siamo solo agli inizi. L’Asset Management aiuterà a ripensare i processi decisionali; di conseguenza, nasceranno diversi metodi innovativi, mentre le nuove tecnologie – in prima linea, quelle promesse dal paradigma dell’Industria 4.0 – non potranno che aiutare in questa evoluzione. Sarà quindi importante mettere a fuoco come il cambiamento può avvenire, attraverso le evidenze di casi di rilievo, per dimostrare l’innovazione dell’Asset Management e del ruolo della Manutenzione. Anche per questa ragione, abbiamo previsto, all’interno di questa rivista, la macro-area culturale Gestione del ciclo di vita degli asset.

Marco Macchi, Direttore Manutenzione T&M