Inossidabili

Racconti di uomini e luoghi in un’acciaieria del nord Italia. A cura di Lorenzo Valmachino (Capitolo 1)

  • Marzo 7, 2018
  • 9660 views
  • Il “Variac”, solida cassetta usurata dal maneggiamento, molto più pesante di quanto parrebbe...
    Il “Variac”, solida cassetta usurata dal maneggiamento, molto più pesante di quanto parrebbe...

Inauguriamo con questo numero una nuo­va rubrica, “Racconti di Manutenzione”, di cui presentiamo qui di seguito il primo di cinque capitoli. Essa nasce con l’intenzione di raccontare, diffondere e preservare uno dei tanti spaccati della storia della manutenzione in Ita­lia, attraverso la trascrizione delle testimonianze dirette di alcuni dei suoi protagonisti. Il racconto che vi apprestate a leggere fa parte di un più am­pio lavoro redatto da Lorenzo Valmachino, For­matore, ASPP dell’Area a Caldo, Manutenzione e Qualità di Cogne Acciai Speciali, il quale ha rea­lizzato una serie di interviste ad alcuni lavoratori e manutentori dell’acciaieria, che ne rappresen­tano la memoria storica. “INOSSIDABILI, raccon­ti di vita e lavoro in un’acciaieria occidentale”, è il titolo della tesi di Valmachino per il Master in Esperto in processi di formazione e sviluppo della sicurezza sul lavoro tenutosi presso l’Università degli Studi di Bergamo (relatore, prof. Stefano Tomelleri). Questa prima parte, introdotta da Ma­rio Guarino, Responsabile di Manutenzione della stessa Società, vuole essere solo un assaggio di ciò che troverete nei prossimi numeri, un’intro­duzione al mondo degli uomini “inossidabili”.

Introduzione

Risale ai primi anni del Novecento l’idea di realiz­zare uno stabilimento siderurgico in Valle d’Aosta, nelle immediate vicinanze delle materie prime e delle fonti energetiche. Fu l’opera di Pio Perrone e dell’Ansaldo a dare concretezza a questa visione e dal 1916 cominciò la costruzione di quell’industria, la Cogne Acciai Speciali, che ha seguìto per intero l’evoluzione e i destini della siderurgia nazionale, fino alla sua privatizzazione, avvenuta nel 1994, e ai piani di ammodernamento e rilancio che ne sono seguiti. La storia che qui si racconta è precedente a quest’ultima evoluzione. È una storia moderna, per gli anni in cui si sviluppa e per i temi su cui ci porta a riflettere. È una storia delle origini, per quelle centrali idroelettriche in cui si struttura e perché ha a che fare con valori eterni della vita e del lavoro. È una storia saltata fuori quasi casualmente, come molte storie d’altronde: do­vevamo solo raccogliere informazioni proprio sulla vecchia linea che collegava le centrali idroelettriche allo Stabilimento centrale di Aosta e invece…

Mario Guarino, Responsabile di Manutenzione di Cogne Acciai Speciali

Capitolo I – Una nuova scoperta

Oltre la porta antincendio, mi accoglie con una stretta di mano ed un sorriso ampio sul suo volto buono e a punta, gli occhi scuri e intelligenti, il modo e i toni sempre pacati; Ivan Zambon è il tecnico della Cabina Collettrice dal ’97 ed io sono andato nel suo reparto con indicazioni chiare: devo trovare i disegni della vecchia linea elettrica che alimentava la fabbrica prima dell’ampliamento, negli anni ’60, che l’ha portata agli attuali 220 KV. Ivan è sempre pronto ad aiutare (“obbligati” dice serio quando bisogna risolvere un problema che reputa importante) e, mentre andiamo nella zona più vecchia dell’edifico, mi racconta una storia come fossimo davanti a un focolare - tanto tempo fa, qui, c’erano gli uffici degli ingegneri della Collettrice - nella conclusione perde la poesia, bisogna dirlo, poi torna a scaldare parlandomi di un giovane elettricista che un richiamo nascosto trasformò in archeologo - giravo per la Collettrice, scendevo nei cunicoli, nelle cabine e un po’ dappertutto trovavo oggetti vecchi - muti testimoni del lavoro di fabbrica. Molti avrebbero lascia­to lì, abbandonato; altri avrebbero buttato via, dimenticato, o portato a casa, nascosto; lui no, Ivan ha raccolto: - ho raccolto tutto e portato in questi uffici. C’erano già armadi antichi, c’erano già cose antiche… di valore[…]. Io, pian piano, negli anni, tutte le cose che trovavo, che vole­vo tenere lì, come storia, che mi dispiaceva che andassero rotte, che le volevo vedere perché erano belle, volevo averne cura, le ho messe tutte in questi uffici qui -. Giro per la stanza di 30 mq con quest’uomo della mia età, che parla di vecchie attrezzature come fossero i figli; e sarà stato lui o il pavimento consumato da generazioni di piedi, il soffitto alto, con i finestroni che filtrano una calda luce mattutina, ma s’amplifica in me la sensazione strana che provo quando tasto il passato. Breve lista del passato che sto tastando: una scrivania con vecchia cassetta primo soccorso e Olivetti 84; un armadio contenente quantità innumerevole di misuratori di tensione da varie epoche, età del legno, età della plastica ed età della plasticaccia. Legno e plastica – sono più vecchi, hanno una buona classe di precisione, è tutto materiale da laboratori, […] quindi cose più delicate. Invece quelli neri sono più recenti e un po’ più grezzi - plasticaccia. Un “Variac”, solida cassetta usurata dal maneggiamento, molto più pesante di quanto parrebbe, forse a causa del contenuto – è una resistenza variabile – mi dice, tecnico, Ivan; poi cambia registro e aggiunge: - ehhh… bello il Variac: qua den­tro c’è una bestia -. Cinque valigioni neri che mi fanno pensare all’attrezzatura di un mago e invece sono della vecchia scuola di fabbri­ca: - queste sono troppo belle – le guarda con gli occhi felici - servivano per gli esperimenti guidati col professore; praticamente provavano i vari circuiti, era un gioco per elettricisti – e giocherella anche lui. Infine un grande armadio, in pino cembro, e una cassettiera. Sono pieni di vecchi documenti e ci immergiamo con la gioia delle persone che fanno qualcosa di appassio­nante. - Vedrai che lo troviamo – gli dico - ob­bligati - mi risponde. Il nostro ottimismo vol­teggia nella stanza quando Ivan apre un foglio ed eccolo: il disegno della vecchia linea a 70 KV. È in un gruppo di documenti che riempiono quattro cassetti e sono dedicati all’ampliamen­to della Cabina Sottostazione. Studi, richieste, pagamenti, decine di disegni. Su tutti, su tutto, in basso a destra, una firma in diagonale, sem­plice e ben leggibile: Trevisan. - Doveva essere un grande capo - dice Zambon e quella frase mi avrebbe obbligato a prolungare e modificare la ricerca sulla Collettrice: dovevo saperne di più, sul Grande Capo.

Venerdì 8 agosto 2014, ore 11. Incontro Gianfran­co Trevisan, classe 1940. Mi aspetto un Grande Capo, arriva un signore di semplice eleganza, pacato e profondo, snello e con le mani forti. Mi aspetto una Grande Storia, quello che a breve mi racconterà è il percorso di un uomo che si è fatto strada alla vecchia maniera: un viaggio par­tito umilmente; una lunga, lenta e costante acqui­sizione di abilità e professionalità, indivisibili dal suo percorso interiore, umano e collettivo. Im­pegno, resistenza, fedeltà ed un insieme di valori etici con cui riempie l’espressione “bella carrie­ra”, che mi ripeterà più volte durante l’intervista, che gli è costata trent’anni di lotte. Trevisan mi parla a bassa voce, sembra soffiare le parole, accompagna il racconto con movimenti discreti delle mani, suoni e immagini; sarò romantico, ma ho la sensazione che tutto il mondo si sia ferma­to per ascoltare la sua storia operosa ed emotiva, cominciata nella “squadra zero”, passata per la “galera” e arrivata in “Svizzera”. L’intervista è durata 85 minuti. Gli ho rivolto un paio di doman­de; la prima dopo più di mezz’ora: è la sua lunga narrazione e non c’è bisogno del mio intervento.

...Continua sul numero di Marzo di Manutenzione T&M