Manutenzione, Cop26 e sostenibilità

Quale impatto può avere la manutenzione sulla sostenibilità?

  • Ottobre 27, 2021
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E alla fine, ci siamo. Fra poco più di un mese, il 31 ottobre, a Glasgow, avrà inizio il Cop26. La conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Dal 28 settembre al 2 ottobre, gli organizzatori si sono incontrati a Milano per preparare l’evento. Circa 190 paesi si confronteranno ancora una volta per far fronte alla crisi globale del clima guidati questa volta da Regno Unito e Italia. Gli obiettivi del Cop (Conferenza delle parti) sono primariamente due: arrivare a zero emissioni serra entro il 2050 e proteggere gli habitat naturali minacciati dal cambiamento climatico.

È solo retorica? Quale impatto può avere la manutenzione sulla sostenibilità? Un passo alla volta.

Il 23 settembre si è conclusa la presentazione del Rapporto Edison-Censis “Sostenibilità sostenibile”, un ossimoro che evidenzia le difficoltà che si incontrano nel promuovere le iniziative di sostenibilità. I governi si impegnano su questi temi da molti anni (il primo Cop risale infatti al 1995, a Berlino) ma senza la collaborazione e il sostegno dei cittadini le prese di posizione politiche rischiano di essere velleitarie.

Da qui il tema della sostenibilità sostenibile. Ossia, ci si chiede: i cittadini hanno le risorse per condurre a un futuro sostenibile e durante questa transizione contribuire a contenere gli effetti del cambiamento climatico? Dal canto loro, almeno a parole, i cittadini italiani sembrano ben orientati verso la sostenibilità. Anche se secondo il rapporto Edison-Censis per il 41% degli italiani la sostenibilità è prima di tutto economica. Per il 32% è quella ambientale, legata all’impegno per tagliare l’inquinamento e lottare contro il riscaldamento globale. Mentre per il 26% è quella sociale, volta a garantire criteri di inclusione per i gruppi svantaggiati. Anche tra i giovani il 46% indica come priorità la sostenibilità economica, il 25% quella ambientale e il 29% quella sociale.

Tuttavia, nello stesso rapporto si evidenzia che i consumatori italiani, dopo la pandemia, oltre ad essere disposti a spendere di più per prodotti e servizi rispettosi dell’ambiente (59%), e purché le aziende rispettino i diritti di lavoratori e fornitori (51%), il 55% è disposto a pagare di più per prodotti e servizi italiani e il 50% per aziende impegnate in progetti sociali.

Quindi, al di là dei desideri del Governo, l’aspirazione degli italiani è di mirare a una sostenibilità ambientale, ma non a qualsiasi prezzo. Essa deve essere sostenibile anche sotto il profilo socioeconomico, ossia deve risultare inclusiva e in grado di creare un futuro benessere accessibile a tutti i cittadini. Sostenibilità e cambiamento climatico vanno a braccetto poiché le tematiche della sostenibilità, come la riduzione dei rifiuti e dell’inquinamento, la riduzione nell’uso dei combustibili fossili, eccetera, vanno nella direzione di una forte riduzione di emissioni dei gas serra e conseguentemente al contenimento degli aumenti di temperatura che a quanto pare sono alla base degli sconvolgimenti climatici cui stiamo assistendo da qualche tempo a questa parte.
Lasciamo agli esperti questi argomenti assai spinosi.

Vogliamo evitare che l’Italia diventi un paese tropicale o, un po’ più in là, che la Groenlandia diventi un giardino senza ghiacci e che il polo Nord diventi meta turistica con la scomparsa degli orsi polari e la compromissione di uno degli ultimi territori incontaminati. Nel nostro essere rivoluzionari siamo quindi molto conservatori nel senso che vogliamo conservare l’ambiente italico per offrirlo ai nostri figli e nipoti, nei limiti del possibile, in una condizione paragonabile a come ci è stato affidato dai nostri nonni, oppure, se possibile, migliorato. Non ridotto a una landa desolata dove i nostri concittadini si daranno battaglia per l’ultimo metro cubo di acqua potabile.

La pandemia da due anni a questa parte ha distratto i volonterosi difensori dell’ambiente dal compito. Le piazze sono state dedicate a orge complottiste e libertarie, dove l’animosità ha prevalso sul buon senso e i temi ambientali sono passati in second’ordine. Oggi notiamo qualche piccolo cambiamento. I Fridays for Future sono riemersi dal letargo e sono tornati ad alimentare il dibattito della piazza, fino a poco tempo fa monopolizzato da vaccini e pandemia.

Greta Thumberg, stimolante fondatrice dei Fridays for Future, duramente osteggiata in questo periodo pandemico, è tornata a far sentire la sua importante voce e a stimolare il dibattito in vista dei prossimi impegni. Come possiamo dare con la manutenzione il nostro piccolo robusto contributo alla sostenibilità?

Prima di tutto con un drastico aumento della longevità dei beni. E qui non è solo questione di progetto integrato, tecniche RAMS (Reliability, Availability, Maintainability and Safety), eccetera, ma di saper operare con la manutenzione lungo tutta la vita del bene. Poi va progettato anche il fine vita. E anche in questo caso la manutenzione può dare un valido contributo, ad esempio con il riuso, l’ammodernamento (upcycling) e la riparazione.

Sì, la vecchia cara riparazione. La capacità di affrontare la talvolta complessa dinamica di una riparazione profonda che comprenda anche un aggiornamento tecnologico non è per tutti. E chi avrà queste competenze sarà un passo avanti, perché non è sempre possibile destinare i vecchi impianti ai paesi terzi o mandarli alla rottamazione. Sempre più si affermerà il concetto di integrare e ammodernare con continuità gli impianti in modo che apparentemente raggiungano una sorta di “vita eterna”.

Il continuo ammodernamento tecnologico, l’adattamento progressivo degli impianti, non solo consentirà di avere una tecnologia sempre al massimo, ma soprattutto eliminerà quel concetto di “usa e getta” che tanto dolore ha arrecato alla Natura dal secondo dopoguerra a oggi.

La recente diffusione delle imprese di bonifica e il costo rilevante per la manutenzione del territorio, ad esempio, rivelano quanto il concetto di “usa e getta” sia conveniente solo se si guarda a una piccola parte dei costi e come, alla lunga, tale concetto sia molto oneroso e invadente. Basta pensare, caso estremo, alle spese di recupero e ai tempi di bonifica delle centrali nucleari. E il nemico è sempre lo stesso: la reale o presunta obsolescenza tecnologica. Ecco dove concentrare la nostra attenzione.

I piccoli impianti sono già stati oggetto di queste attenzioni. Basta pensare agli smartphone “fair trade” frutto appunto del “commercio etico” come ad esempio il Fairphone. Un modello di telefono che consente la sostituzione modulare delle sue parti principali in modo che se un modulo diventa obsoleto non renda obsoleto tutto lo smartphone.

Questo piccolo esempio dimostra che cambiare mentalità si può, però costa fatica. Infatti, il Fairphone a parità di prestazioni costa il doppio di un apparecchio tradizionale. Con una differenza sostanziale, mentre un telefono tradizionale viene cambiato ogni due tre anni, e per il vecchio superstite, anche se perfettamente funzionante si apre una strada a senso unico verso i rifiuti RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), per il Fairphone si cambia, ad esempio, il modulo processore (la vecchia CPU) e via, il telefono così rammodernato tira avanti ancora per un paio di anni.

A noi manutentori tocca sempre dare l’esempio, perché la manutenzione è il più bel mestiere del mondo. Anzi, senza la manutenzione non esisterebbe il mondo. Un po’ come l’Imperatore del Giappone, cui gli insegnanti non sono tenuti a inchinarsi. Il motivo è semplice: se non ci fossero gli insegnanti non ci sarebbe l’Imperatore.

Maurizio Cattaneo, Amministratore, Global Service & Maintenance